Recensione Dark Horse (2011)

Il film parte benissimo, ritmato, brillante, paurosamente graffiante, ma ad un certo punto la magia si spegne, in corrispondenza di un'infiltrazione onirica che stenta a funzionare e a portare il film sul giusto binario, con il risultato che il tutto viene bruscamente mitigato.

Unhappiness

Dopo Perdona e dimentica, un film crudo e caustico come pochi se ne sono visti negli ultimi anni, Todd Solondz torna a parlare di legami familiari, di vita e di morte, di malattia e di depressione, ma soprattutto di insoddisfazione e infelicità. La storia è quella di Abe, un nerd quarantenne che non ha né amici né una ragazza e non vuole decidersi a lasciare la casa dei genitori. Fissato con i gadget e con gli action figure dei supereroi che compra in gran segreto su Ebay, il robusto ragazzone vive in una cameretta da adolescente con la carta da parati a grossi pois rossi e appeso sul cruscotto della sua gigantesca Hammer giallo taxi ha il cubo di Rubik. L'amorevole mamma lo compatisce e gioca con lui a backgammon, mentre il sarcastico padre lo guarda disgustato come si guarda un buono a nulla. Abe raffigura per lui l'incarnazione di un fallimento, la delusione di un genitore che ha puntato tutto sul figlio sbagliato come si punta su un cavallo che sulla carta non è tra i favoriti (da cui il titolo Dark Horse), ma che da un momento all'altro potrebbe esplodere e aggiudicarsi la vittoria. Il fratello di Abe infatti è diventato un apprezzato medico mentre lui ha trovato lavoro, neanche a dirlo, nella società di famiglia, un'impresa di intermediazione immobiliare che non lo stimola né interessa particolarmente. Quando si innamora di Miranda, una giovane che più o meno vive la sua stessa condizione, ma è dieci volte più depressa di lui, Abe fa di tutto per conquistarla e le fa una proposta di matrimonio dopo appena una settimana. Convinto che una relazione con una graziosa ragazza come lei possa cancellare per sempre la sua nomea di sfigato e confortato dalla sua condizione di 'ronzino' delle scommesse, Abe si lancia in un'avventura disastrosa, ai limiti del tragico.

Il regista di Happiness - Felicità, torna dietro la macchina da presa ma lo fa senza aver le idee chiare sugli obiettivi narrativi della sua storia. Il film parte benissimo, ritmato, brillante, paurosamente graffiante, ma ad un certo punto la magia si spegne, in corrispondenza di un'infiltrazione onirica che stenta a funzionare e a portare il film sul binario giusto, con il risultato che il tutto viene bruscamente mitigato. Un film potenzialmente bellissimo si trasforma così in un fantasioso e noioso esercizio di stile con un cambio di tono repentino dalla commedia grottesca al dramma, con un balzo narrativo-temporale poco chiaro e la trasformazione immaginaria di alcuni personaggi che finisce per sviare lo spettatore anziché chiudere il proverbiale cerchio.

Straordinarie le interpretazioni degli attori, su tutte quella del paffuto protagonista Jordan Gelber e dei grandissimi Christopher Walken e Mia Farrow che nei panni dei due anziani genitori di Abe offrono notevoli siparietti e valgono da sole il prezzo del biglietto.

Movieplayer.it

3.0/5