Recensione Ciao Italia (2011)

Barbara Bernardi e Franco Caviglia cercano di analizzare l'evoluzione della capitale tedesca, eletta ormai baluardo della modernità assoluta da un folto popolo europeo di bohémien con velleità artistiche, attraverso gli occhi di un italiano medio arrivato all'esaurimento della propria pazienza tanto da impacchettare un'intera vita e partire.

Alla ricerca della felicità

Partire o rimanere? Questo è l'interrogativo da cui sembrano trarre ispirazione molti documentari che, da un po' di tempo a questa parte, hanno concentrano la loro attenzione sull'analisi del nostro paese e la sua condizione attuale. Più di un anno fa, ad esempio, Gustav Hofer e Luca Ragazzi si sono lanciati nell'avventura itinerante di Italy: Love it, or Leave It con l'intenzione di scoprire se l'Italia valesse ancora del tempo e del sacrificio da parte delle generazioni più giovani. Oggi, a quell'analisi costruita in tappe da Rosarno a Predappio, fa idealmente da controcanto il lavoro di Barbara Bernardi e Franco Caviglia che cerca di comprendere le ragioni di chi la risposta alla domanda iniziale pare averla trovata anche a prezzo di un grande rischio. Protagonisti del loro Ciao Italia, infatti, sono tre coppie provenienti da Bologna, Napoli e Firenze che, ormai insofferenti alle condizioni di un paese sempre più confuso e in autogestione, hanno preferito affrontare i timori di un trasferimento totale e definitivo a Berlino piuttosto che continuare a vivere in una condizione sociale e culturale incapace di soddisfare le loro aspettative. Però, a differenza della prima migrazione verso la Germania, per capirci meglio quella con la valigia di cartone causata da un bisogno pratico e monetario, colpisce come questa volta a spingere oltre i confini sia soprattutto un'assenza di riconoscibilità con il sistema italiano piuttosto che una vera e propria necessità materiale.


In questo modo Bernardi e Caviglia cercano di analizzare l'evoluzione della capitale tedesca, eletta ormai baluardo della modernità assoluta da un folto popolo europeo di bohémien con velleità artistiche, attraverso gli occhi di un italiano medio arrivato all'esaurimento della propria pazienza tanto da impacchettare un'intera vita e partire. Il risultato, però, è un ritratto talmente parziale e circoscritto da non offrire nessun nuovo spunto di riflessione né sugli esuli volontari né sulla trasformazione inevitabile della città. Anzi, in questo modo, attraverso la ben nota efficienza germanica comparata al più pittoresco pressapochismo italiano, si rischia solamente di parlare ancora per preconcetti e immagini retoriche, trasformando le singole vicende degli intervistati in una resa spesso incomprensibile e immotivata. Così, senza essere sfiorati dal problema della disoccupazione e del precariato, per queste famiglie la ricerca della felicità è rappresentata dalla conquista di mezzi pubblici efficienti, spazi ricreativi per i propri figli e maggior tempo da spendere in attività rilassanti. Tutti diritti insindacabili e obbiettivamente difficili da reperire attualmente in Italia ma che, probabilmente, non rappresentano certo delle fondamenta solide su cui costruire un documentario dalla natura analitica. Perché, alla fine dell'elogio germanico cui fa da sfondo un comprensibile disinnamoramento per il proprio paese, si ha la sensazione di assistere a delle fughe un po' pavide che lasciano ancora aperto l'interrogativo iniziale.

Movieplayer.it

2.0/5