I bambini ci guardano
Il 12 maggio del 1974 l'Italia si esprime con un sì a favore del divorzio, rompendo di fatto anni di predominio cattolico sulla politica; la Juventus perde il campionato in favore della Lazio, unica squadra con Cagliari e Torino a infrangere la supremazia dei bianconeri e di Inter e Milan. La crisi petrolifera impone di lasciare a casa le macchine e di cominciare a pedalare. Le donne scendono in piazza per reclamare pari diritti e opportunità e grazie alla pillola anticoncezionale vengono liberate dall'obbligo di fare sesso solo per procreare. Tutto è possibile, tutto cambia. Guido e Serena lo intuiscono e sulla propria pelle vivono i profondi mutamenti della società; artista d'avanguardia lui, timoroso di essere bloccato da una famiglia troppo borghese, bellissima erede di una dinastia di commercianti lei, considerano il proprio rapporto di coppia come una guerra logorante, un furioso rincorrersi di liti e appassionate riappacificazioni, di continue recriminazioni e scenate di gelosia. Testimoni di queste sfide sono i due figli, Dario e Paolo, ragazzini sveglissimi che considerano papà e mamma come degli amici un po' pazzi (e li chiamano per nome). L'estate del 1974 segna per tutti loro una svolta decisiva. Guido inizia a fare i conti con la propria identità di artista, assumendosi per la prima volta la responsabilità dei suoi successi e degli errori; Serena scopre sé stessa nel rapporto con una donna. Dario comprende di voler fare il regista e affida all'amata cinepresa le storie di quelle giornate particolari.
A sei anni di distanza da Mio fratello è figlio unico e a tre da La nostra vita, Daniele Luchetti torna in cabina di regia per un'altra cronaca familiare, stavolta intima e personale. Anni felici è il racconto della sua adolescenza e del rapporto con i genitori, di un periodo storico che sotto i colori e la vivacità celava disordine e spaesamento, di una progressiva liberazione da pesantissimi vincoli familiari. Luchetti però riesce a non rimirarsi nello specchio infido dell'autobiografia, non proietta i suoi spettri, né demonizza gli aguzzini, limitandosi coerentemente a mostrare una parte della sua vita, con affetto ma senza indulgenze. In una struttura narrativa che rischiava quindi di farsi soffocare dal didascalismo e dall'autoreferenzialità, anche la scrittura si è fatta leggera, lasciando alla voce fuori campo del regista la 'spiegazione' di pochi, significativi, momenti. Contrariamente a quello che può apparire dalla forma leggera e mobile, che rende il film come una sorta di diario scritto a mano, l'opera riesce però a mettere in campo una molteplicità di temi, una ricchezza di spunti, che sono la sua vera forza. Il primo, forse il più urgente, è il rapporto tra genitori e figli. E' un filo rosso che dà corpo e unisce i vari momenti della storia, nascosto dall'intenso racconto della vita di una coppia via via sempre più squilibrata, priva di punti di appoggio, unicamente ancorata sulle spinte contrastanti dei due protagonisti. In una famiglia in cui ognuno viene "stretto a sé con calore o con freddezza", i bambini sperimentano sulla propria pelle la distanza da quei genitori all'apparenza così passionali, in realtà impegnati a bloccarsi l'un l'altro. Il rapporto genitori-figli assume allora i contorni di una lotta alla ricerca della propria originalità; a volte si rende necessario un grido, un insulto urlato a pieni polmoni, altre è obbligatorio respingere con decisione un abbraccio materno che ha il gusto del ricatto. E Serena e Guido, a loro volta figli di padri e madri glaciali, vagano confusi alla ricerca di stabilità che sanno trovare solo quando trovano il coraggio di mollare la presa, quell'asfissiante bisogno che l'altro ci sia per essere completi, quella volontà di rendere il proprio partner la causa di ogni frustrazione. Anni felici è anche l'omaggio genuino ad un cinema materico, inebriato dal profumo della pellicola Super8, a tal punto che i video girati da Dario-Daniele sembrano essere il vero scheletro del film; una libertà d'azione totale che Luchetti traduce in uno scatenamento della macchina da presa, che si muove in sincrono con gli attori, tutti bravissimi a riproporre gli scatti, il furore, la dolcezza, il candore di quei momenti, lavorando con una naturalezza che non può non toccarci e se il risultato finale ci appare così luminoso è anche per il brillante lavoro di Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti sui rispettivi personaggi. Forse la grande assente è la storia con la S maiuscola, il contesto del tutto peculiare degli anni '70, ma è una mancanza che non diventa fastidiosa, nel momento in cui Luchetti ne lascia intravedere l'essenza, ad esempio nelle dichiarazioni ideologiche degli artisti ("Il borghese non è arte") e nel loro voler essere costantemente contro. Nel caso specifico di un film nato per rivedere la propria storia personale, basta eccome.
Movieplayer.it
3.0/5