Los Angeles, vigilia del 21 marzo 2023: di nuovo, il popolo americano si prepara per l'annuale "sfogo", la notte in cui, secondo quanto stabilito dai Nuovi Padri Fondatori, ogni crimine sarà consentito, incluso l'omicidio. Tale misura ha permesso, secondo i suoi sostenitori, di ridurre drasticamente i livelli di criminalità nei restanti 364 giorni dell'anno, rendendo gli Stati Uniti un paese molto più sicuro: eppure, sono in tanti a pensare che questo non sia altro che un espediente escogitato dalle classi più ricche per liberarsi di poveri ed emarginati di ogni sorta, fatalmente destinati a soccombere in quanto privi delle possibilità concrete per difendersi.
Nelle ore che precedono l'inizio della prevista mattanza, seguiamo tre vicende parallele: quella di Eva e Cali, madre e figlia appartenenti al proletariato di colore, che ancora non sanno che il capofamiglia ha deciso di suicidarsi, "vendendo" la propria vita a una congrega di facoltosi ricchi per garantir loro la sopravvivenza; quella di Shane e Liz, coppia in crisi che resta bloccata in strada in pericolosa prossimità dell'inizio dell'evento, a causa di un guasto alla propria automobile; e infine quella di Leo, enigmatico cecchino ed esperto di armi, che progetta di sfruttare la notte per regolare un vecchio conto in sospeso. I tre gruppi finiranno per incrociarsi, in modo rocambolesco, nelle strade notturne di una Los Angeles trasformata in giungla di cemento, cercando di sopravvivere, costretti ad unire le proprie forze.
Ripetizione e innovazione
A quanto pare, dopo i buoni risultati ottenuti dal primo La notte del giudizio, siamo di fronte al possibile inizio di un nuovo franchise. E perché no? L'idea iniziale, pur se debitrice a modelli ben riconoscibili (l'influenza dei classici di John Carpenter e George A. Romero è ben visibile nel prototipo) aveva una sua semplice e "primordiale" efficacia; e si rivelava inoltre ben inscritta nelle ossessioni e paure dell'America contemporanea, prima tra tutte quella della libera circolazione delle armi, di cui il film di James DeMonaco ha rappresentato una distopica estremizzazione. Esaurita, tuttavia, la spinta propulsiva di tale intuizione, replicare quell'impatto sembrava compito abbastanza arduo: dato, anche, il carattere autoconclusivo della vicenda originale, questo Anarchia - La notte del giudizio nasceva sotto la pesante ombra di un remake mascherato, o di una scialba copia che nulla avrebbe aggiunto a una vicenda della quale sembrava esaurito il potenziale. Il dubbio, nell'approccio a questo sequel, era anche quello di chi scrive: non mancava, dobbiamo ammetterlo, una certa dose di scetticismo sulla prosecuzione di una vicenda che era già in sé derivativa. Fa piacere, ogni tanto, sbagliarsi. Anarchia - La notte del giudizio, nel suo reinserirsi nel solco dell'idea del prototipo, è insieme classico ed innovativo: rompe con la formula del suo predecessore, e nel contempo recupera altre e diverse suggestioni, gettando anche le basi per una possibile prosecuzione della serie. Risultando, contro ogni previsione, più efficace del film precedente.
Esterno notte. L'inferno.
Se DeMonaco, nel primo La notte del giudizio, recuperava la classica idea dell'assedio (motivo che ha attraversato film e generi differenti, dal western di Un dollaro d'onore al thriller metropolitano di Distretto 13: le brigate della morte, passando per l'horror de La notte dei morti viventi) qui la prospettiva cambia decisamente: i protagonisti non sono più dentro, impegnati a difendere un avamposto da cui tener fuori il male, ma piuttosto fuori, direttamente immersi nel notturno inferno metropolitano, nel disperato tentativo di sopravvivere. Quel fuori di cui, nell'episodio precedente, avevamo visto solo rapidi scorci, lo stretto indispensabile per il dipanarsi della trama, qui viene mostrato in tutto il suo livido iperrealismo: se, di giorno, le strade di Los Angeles non hanno nulla di inusuale, risultando del tutto sovrapponibili a quelle che il cinema ci ha mostrato tante volte, di notte (durante quella particolare notte) il tutto viene trasfigurato. La metropoli diventa un post-apocalittico regno di degrado e violenza: i suoi abitanti fuoriescono dal buio, come cose senza nome, le maschere a coprirne il volto. Le ascendenze carpenteriane sono, di nuovo, evidenti: ma stavolta è un capolavoro come 1997: Fuga da New York ad essere preso, in modo palese, a modello. La città è una trappola, analoga a quella che fece da teatro alle gesta dell'antieroe di Kurt Russell: l'aspirante killer col volto di Frank Grillo non ha lo stesso cinismo (e come potrebbe?) ma l'attitudine è sempre quella del protagonista di un western metropolitano. E, parlando di tale sottogenere, è difficile non pensare a un altro classico dello stesso periodo, quel I guerrieri della notte che vedeva i suoi cowboy metropolitani scontrarsi per la sopravvivenza in un'altra città-trappola, retta da implacabili quanto necessarie regole non scritte. Chi è cresciuto con i film di Carpenter e Walter Hill, difficilmente potrà fare a meno di restare coinvolto.
Ritmo politico
Nella sua capacità di intrattenere, e nella sua ottima tenuta narrativa (il film è quasi del tutto privo di quelle cadute di ritmo che, qua e là, affioravano nel primo episodio) Anarchia è anche, in modo ancora più esplicito del suo predecessore, un film politico. La teoria secondo la quale lo Sfogo è strumento delle classi dominanti per consolidare e mantenere il proprio potere emerge nel corso della storia in modo evidente, ma senza didascalismi: l'aver spostato l'azione direttamente nelle strade, sottraendola alla dimora borghese del film precedente, ha naturalmente favorito questa componente. Tuttavia, è per larghi tratti la stessa sceneggiatura a insistere su questo aspetto della vicenda, mettendone in risalto i contorni, e rendendolo centrale quando i protagonisti si ritrovano prigionieri in una festa di distinti esponenti della upper class, che hanno organizzato una caccia all'uomo che mostra risonanze con quella (indimenticata) del La pericolosa partita di Ernest B. Schoedsack. E non si può, a questo proposito, non fare un cenno al carismatico personaggio introdotto in questo secondo episodio, che sembra destinato ad essere al centro del previsto terzo film della saga: il guerrigliero afroamericano col volto di Michael K. Williams, chiare fattezze da Malcolm X, proclami rivoluzionari atti a incendiare gli animi e un ruolo, pur limitato a livello di minuti in scena, assolutamente "pesante" per gli sviluppi della vicenda. La sua presentazione, pur fumettistica (ma è poi un male, questo?) resta impressa. E la curiosità di rivederlo, se davvero ciò accadrà, non è poca.
Conclusioni
Un sequel che sviluppa, in modo intelligente, le premesse già contenute nell'originale, andando oltre la mera copia e rielaborando con stile alcune idee forti, che mostrano l'evidente cinefilia del suo autore. La mancanza di un volto noto come quello di Ethan Hawke non si sente affatto; e il mix tra intrattenimento e riflessione coglie decisamente nel segno.
Movieplayer.it
4.0/5