Anche i ricchi piangono
Terzo da film da regista per Valeria Bruni Tedeschi, questo A Castle in Italy (Un Chateau en Italie) è certamente la sua opera più intima e personale visto che porta con sé davanti alla macchina da presa sua madre Marina Borini e l'ex compagno Louis Garrel, e davanti agli occhi degli spettatori momenti importanti della sua vita recente quali la morte del fratello e il desiderio di maternità. Manca insomma l'ancor più famosa sorella Carla, ma la storia di questa fittizia famiglia piementese, proprietaria di un castello e di un impero ormai in rovina, non nasconde in alcun modo le sue radici autobiografiche.

Qui incontra anche un giovane attore impegnato su un set cinematografico con il padre regista; lui la riconosce, la segue e le chiede insistentemente di uscire. Tornata a Parigi, la donna, sempre più in crisi a causa della solitudine e dell'età che avanza, decide di dare una chance a questo ragazzo ben più giovane e inizia una relazione con lui pur sapendo che in realtà vogliono cose bene diverse: una storia seria con figli e famiglia lei, solo divertirsi e vivere spensierato lui.

Se la parte più drammatica o romantica del film stenta a decollare a causa di personaggi stereotipati o non particolarmente interessanti (Garrell ormai ripete all'infinito lo stesso personaggio, o quantomeno continua a rifare sé stesso senza sforzarsi minimamente), è dove la regista stessa gioca con le proprie isterie e nevrosi che il film sembra colpire del segno, in particolare quando riesce a far (sor)ridere allontanandosi dal politicamente corretto come nel caso di due esilaranti sequenze sulla fecondazione assistita e sui presunti poteri di una sedia "miracolosa", gelosamente custodita da un convento di suore.
Altalenanti anche le interpretazioni: se la Louise della Bruni Tedeschi funziona, anche se non con la stessa efficacia in tutta la pellicola, e il Nathan di Garrell invece proprio non ci ha convinto, il resto del cast non sempre sembra all'altezza delle pretese, forse fin troppo alte, della regista; un misto di volti noti francesi ed italiani - tra cui vale la pena citare almeno Silvio Orlando, Pippo Del Bono e Omar Sharif, tutti in poco più che un cameo - si alterna sullo schermo senza lasciare particolarmente il segno, tranne forse Filippo Timi che sfrutta come può il superiore minutaggio e il ruolo a sua disposizione, e che forse avrebbe meritato più spazio.
Movieplayer.it
3.0/5