Il vecchio guerriero guarda in faccia il pugile anziano. Stessa faccia, stesse cicatrici, spirito diverso. Si specchiano, si assomigliano, ma non sono la stessa persona. Tutt'altro. Entrambi ci hanno insegnato a incassare, sopportare e rialzarci. Entrambi ci hanno insegnato che gli eroi non esistono, ma resistono. Eppure il loro animo è diverso: il guerriero è solo, scalfito, ha ancora voglia e forza per combattere. Il pugile ha passato il testimone, ha trovato speranza nella famiglia, non combatte più. Ed eccoli lì, ancora in piedi, pronti all'ultimo duello. Apriamo questa recensione di Rambo: Last Blood immaginando un ipotetico braccio di ferro cinematografico tra Rambo e Rocky, due personaggi iconici, che ci hanno fatto affezionare allo sguardo languido del tenace Sylvester Stallone, ancora capace di picchiare, rispolverare la sua stessa icona statuaria e sparare le ultime cartucce.
Un braccio di ferro dal quale il nostro reduce del Vietnam esce con le ossa rotte, perché la "pensione cinematografica" di Rocky, dopo il sequel-reboot di Creed, ci appare molto più sensata e gloriosa di questo fiacco quinto capitolo in cui, va detto, non tutto è da buttare. Un film che sino a cinque anni fa era inimmaginabile per lo stesso Stallone, che disse: "Il cuore sarebbe pronto, ma il corpo mi dice di stare a casa. È come quei combattenti che tornano per un ultimo giro e vengono distrutti. Meglio lasciarlo fare a qualcun altro. Sai quando ti rendi conto che non c'è più niente da dire". Quindi la domanda è: Rambo 5 ha qualcosa dire? Sì, ne ha. E sarebbero anche spunti significativi.
Il problema è come è stato detto, ovvero in modo superficiale e scialbo. Rambo: Last Blood ha cuore? In parte, ed è tutto merito di uno Stallone che ci mette l'anima, ma punta più allo stomaco dello spettatore. Il tramonto di questo reduce perseguitato da guerra, sangue e morte meritava un altro tatto. Magari meno rozzo, meno grezzo. Ma la pelle di Rambo, si sa, è spessa, e forse sopravvivrà anche a questa mina pestata.
La trama: Rambo ti troverà
Lontano da tutto e da tutti. È così che uno come Rambo si gode la pensione. Nella quiete isolata di un vecchio ranch nel bel mezzo nel nulla. Solo silenzio, polvere, sedie a dondolo sul patio. Roba da americani vecchio stile. Adesso il nostro vive con una governante messicana e sua nipote. Per lei Rambo è come un padre, o forse sarebbe meglio dire un nonno, anche se lo chiama "zio".
Adesso, a settant'anni, Rambo prende medicinali e preferisce rintanarsi dentro un bunker sotterraneo dove magari potersene stare finalmente tranquillo, lontano da tutto quel rumore (esplosioni, urla, spari) che ancora gli rimbomba in testa. Ma il destino è sempre stato infame con lui, e così, anche quando la guerra è lontana, la vita gli chiede di affrontare un'ultima, sanguinosa battaglia. Succede quando sua "nipote" torna in Messico alla ricerca del suo vero padre, per poi cadere nelle mani di una spietata organizzazione criminale che rapisce e sfrutta giovani donne per un fitto giro di prostituzione. Rambo si mette sulle tracce della ragazza, e sarà come tornare nella giungla anche in mezzo alle strade messicane. Una premessa che sa di già visto e riporta subito alla mente film come Io vi troverò. Senza preoccuparsi di inevitabili dejà vu, Rambo: Last Blood tira dritto per la sua strada, prevedibile e scontato, affidato a una scrittura elementare che rende bidimensionali e didascalici i cattivi e mai davvero approfondita l'intimità di Rambo.
Rambo, un personaggio alla ricerca di ossigeno
Un personaggio potenzialmente ricco di spunti, soprattutto se immerso nella giusta atmosfera che il film sembra avere. Atmosfere che riportano dalle parti di Logan e de Gli spietati, con il paesaggio sgombro e polveroso, vecchio come l'eroe di turno alla ricerca di ossigeno come essere stati braccati da tutta la vita. Il materiale per rendere Rambo un personaggio drammatico ci sarebbe tutto, ma alla sceneggiatura di Stallone e Matthew Cirulnick questo non interessa. Non interessa entrare nella psiche di un sopravvissuto, di una vittima di guerra, di una moderna creatura di Frankenstein, assemblato di traumi trasformato in una macchina di guerra da una società ostile.
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Violenza, ossa rotte e sangue
No, Rambo: Last Blood dell'intimismo non che farsene, preferendo le maniere forti. Il quinto Rambo affida i suoi scarsi lampi di dramma agli sguardi dolenti e riluttanti di un intenso Sylvester Stallone, condannato alla mattanza e a cui è impossibile non volere bene. Il nostro Sly ci mette anima e corpo (tanto corpo) in ogni sequenza e prova a reggere da solo un film affossato da una regia sciatta, dialoghi scadenti, senza il tatto giusto per salutare con onore un'icona del cinema. Se Rambo ha perso il duello con Rocky, è perché nella saga del pugile Stallone ha accettato il passare del tempo e ha evoluto il suo personaggio da lottatore a mentore. Un cambio di prospettiva impossibile da adottare per un lupo solitario come Rambo. E allora rieccolo nella sua dannazione, rieccolo a uccidere, anzi ad ammazzare con tutta la sua rabbia e la sua foga, sporcando le sue nodosi mani con arti spezzati e organi vitali. Sì, perché il sangue di questo Rambo sarà anche l'ultimo, ma è davvero tanto. Truce, iperviolento e al limite dello slasher, Rambo: Last Blood sfocia in una carneficina stracolma di sangue. Il che può persino divertire quando il film, che intrattiene come si deve (sia chiaro), assume toni talmente roboanti da diventare quasi parodistico. Un peccato, poi, non aver sfruttato come si deve un grande spunto scenografico del film, con quei tunnel sotterranei che assomigliano alla mappa mentale di un uomo che non vuole farsi trovare, alla psiche di un guerriero che la guerra se la porta in casa, se la porta addosso. Come un tanfo che non si lava via. Questo Rambo puntava al cuore, ma ha colpito dritto allo stomaco. Senza far male, facendo il solletico. La mira non è più quella di un tempo. Adesso, forse, è ora di far riposare Rambo. Ci è sembrato stanco di tante battaglie.
Conclusioni
In questa recensione di Rambo: Last Blood abbiamo cercato di non farci influenzare dall'affetto che proviamo per Sylvester Stallone. Un attore tenace, caparbio, che non vuole smettere di rispolverare il mito dei suoi grandi eroi. Se la "pensione cinematografica" di Rocky brilla di luce propria, purtroppo questo quinto Rambo è un passo falso. Un film sciatto nella regia e nella scrittura, con degli antagonisti simili a macchiette e un grande personaggio non messo a fuoco nel suo profondo dramma esistenziale. Va detto, però, che Rambo: Last Blood esagera, diverte persino e intrattiene, sostenuto soltanto da un indomito e commovente Sylvester Stallone.
Perché ci piace
- La generosità di un Sylvester Stallone intenso, carismatico e ancora credibile nelle scene d'azione.
- L'atmosfera sembra quella giusta: una terra arida e polverosa, quasi da western, habitat perfetto per una riflessione intima...
Cosa non va
- ...ma il film si riduce soltanto a una mattanza piena di sangue e povera di idee.
- I nemici messicani sono stereotipati e senza spessore.
- Spesso si cade nell'involontaria autoparodia.