Recensione Rage (2009)

Gli ignari fruitori di Rage si vedono catapultati di fronte a loro una serie di personaggi più o meno direttamente legati al mondo dell'alta moda che riversano confessioni, dubbi, frustrazioni e lamentele sull'impietoso occhio della macchina da presa.

Rage Against the Cinema

A cavallo tra cinema e videoarte, Rage inchioda lo spettatore per un'ora e mezza alla poltroncina senza lasciargli altra via di fuga se non quella di fare ricorso alla propria immaginazione. E' ciò che ha confermato anche la regista Sally Potter motivando la scelta di depauperare il cinema di molti dei suoi elementi costitutivi, dalla scenografia al movimento (degli attori e della macchina da presa) per stimolare il potere immaginifico del pubblico. Ma le funzioni stimolate da Rage sono, in realtà, ben altre. Fin dalle scritte che appaiono in sovrimpressione sullo sfondo nero, e che sono funzionali all'entrata dello spettatore nel mondo fictional, gli ignari fruitori di Rage si vedono catapultati di fronte a loro una serie di personaggi più o meno direttamente legati al mondo dell'alta moda che riversano confessioni, dubbi, frustrazioni e lamentele sull'impietoso occhio della macchina da presa. Alle loro spalle si alternano una serie di colori fluo degni dei migliori video pop anni '80. La trovata strumentale funzionale a sostenere la coraggiosa, ma improbabile scelta stilistica adottata dalla Potter è l'introduzione di un regista diegetico, un giovane studente che viene ammesso nell'atelier per realizzare una tesina sottoforma di documentario e si trova, così, a intervistare tutti coloro che passano dagli uffici della maison.

Nonostante la parata di talentuose star che si alternano davanti all'occhio della macchina da presa, quella finta (di Michelangelo) e quella vera (della Potter), l'interesse nei confronti del fiume di parole in libertà che invadono lo schermo scema progressivamente man mano che la (non) narrazione procede e comincia ad apparire chiaro che tutto ciò che per scelta registica viene tenuto fuori quadro tale resterà anche dopo la fine del film. Scelta coraggiosa, su questo non si discute, ma poco funzionale alla trama di Rage che prevede morti accidentali, omicidi e un'irruzione finale negli uffici della casa di moda degna dell'assalto a Fort Apache che noi siamo costretti a ricostruire utilizzando unicamente le informazioni fornite dai personaggi nei loro deliri e l'abuso di suoni off che spesso contrastano con ciò che dovrebbe effettivamente accadere. Sally Potter persegue con così ferrea tenacia il suo scopo di sperimentare l'uso estremizzato del blue screen per concentrare tutta l'attenzione sui suoi empatici personaggi che sorvola con nonchalance sulle numerose incongruenze logiche che spuntano come funghi nel corso di Rage. Perché le modelle dell'atelier muoiono in circostanze misteriose? Chi le uccide? Chi sono gli iracondi manifestanti che assediano la casa di moda? Perché l'ispettore di polizia che si occupa del duplice omicidio sembra uscito da un blackxploitation degli anni '70? Inutile porsi tutte queste domande tanto le risposte saranno affidate esclusivamente alla costanza dello spettatore capace di resistere alla visione fino all'enigmatico finale e ai ben più rassicuranti titoli di coda.
Non che Rage difetti di personaggi intriganti. A partire dal diafano travestito/super top model Minx, interpretato dal sempre incisivo Jude Law, passando per il cinico fotografo incarnato da Steve Buscemi e la gelida giornalista (una Judy Dench stupenda come sempre), la galleria dei caratteri messa in pista dalla Potter cattura lo spettatore in un gioco che, però, viene portato talmente avanti da sfiorare lo sfinimento. A un'impostazione recitativa di stampo esasperatamente teatrale, purtroppo, non corrisponde un plot sufficientemente convincente da potersi auto-sostenere senza l'apporto di elementi esterni e alla lunga anche il talento degli attori nulla può contro la noia. Così l'ibrido prodotto dalla Potter si conclude con le uniche due immagini in cui non compare l'uso del blue screen, una torbida Lily Cole sdraiata sul pavimento che con sguardi ammiccanti provoca quello che si presume essere Michelangelo seguita da un paio di piedi che corrono via. Che la profetica Potter abbia messo le mani avanti traducendo in immagini il principale desiderio del pubblico ormai provato dalla visione?

Movieplayer.it

2.0/5