Qui e là, tra Messico e Stati Uniti

In uscita il 12 dicembre in Italia, Qui e là è la storia di una famiglia messicana costretta a guardare agli Stati Uniti non come una terra promessa, quanto come un approdo necessario per poter sopravvivere. In collegamento via skype, abbiamo intervistato il regista, lo spagnolo Antonio Méndez Esparza.

Si è tenuta al Cineclub Detour di Roma - in contemporanea con il Cinema Beltrade di Milano - una piccola quanto preziosa anteprima del film Qui e là, lungometraggio d'esordio dello spagnolo Antonio Méndez Esparza che, dopo aver vinto nel 2012 il Gran Prix alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes, uscirà il prossimo 12 dicembre nelle sale italiane, distribuito da Cineclub Internazionale Distribuzione. Una testimonianza per l'appunto preziosa, soprattutto in tempi di cinepanettoni all'assalto del box office, di un film a basso budget, girato con passione e dedizione. Ambientato in Messico nello Stato di Guerrero, Qui e là racconta la vicenda di Pedro, che torna dagli Stati Uniti per ritrovare la sua famiglia e per provare a seguire il suo sogno, mantenersi da vivere con un gruppo musicale. La povertà del suo paese lo costringerà a fare delle scelte radicali, sempre con la prospettiva di dover tornare negli Stati Uniti, visti più come un luogo dove potersi mantenere che come terra promessa. Dopo la proiezione del film, abbiamo intervistato in collegamento via skype il regista del film.

Come è nato questo il progetto di questo tuo primo lungometraggio da regista?

Antonio Méndez Esparza: Dall'incontro con il protagonista, Pedro De los Santos, che ho conosciuto a New York, dove lavorava in un supermercato. Con lui avevo già girato il mio precedente cortometraggio, Una y otra vez che aveva vinto nel 2009 il premio come miglior corto di finzione al Los Angeles Film Festival. Per necessità produttive però questo corto non mi aveva soddisfatto del tutto. Era ambientato a New York ed era una vicenda sull'immigrazione messicana, che alla fine però era diventata soprattutto una storia d'amore. Avevo voglia di dire di più, di mostrare dei luoghi diversi, di mostrare la vita nella periferia. E l'occasione si è presentata quando Pedro, con cui eravamo diventati amici e che mi aveva raccontato la sua vita, ha deciso di tornare nel suo paese in Messico, nello Stato di Guerrero. Nella realtà il paesino si chiama Copanatoyac, ma per comodità nel film è diventato semplicemente Copa. Così una volta tornato lì, ho chiesto anche alla moglie di Pedro se voleva far parte del film. Lei ha accettato e a quel punto, tramite un lungo casting ho scelto le loro due figlie.

Quindi nel film hai unito alcuni elementi reali, con altri di finzione?

Sì, è così. Effettivamente Pedro aveva deciso di tornare in Messico per provare a mettere su un gruppo musicale, però ad esempio nella realtà lui non è tornato di nuovo negli Stati Uniti, vive ancora in Messico. Perciò non racconto esattamente la sua vita, ma qualcosa di molto vicino. All'inizio non ero sicurissimo di farcela, avevo qualche dubbio, perché dovevo conoscere bene il posto prima di saperlo raccontare, dovevo prendere confidenza con dei luoghi a me assolutamente sconosciuti. Ma con il tempo ci sono riuscito. E un aspetto che mi ha colpito da subito è stato il calore della vita familiare, l'accoglienza, una cosa che ho provato a riprodurre nel film.

Per quanto tempo hai lavorato al film? Che difficoltà hai incontrato?

Ci ho lavorato in tutto sei mesi, quattro mesi di pre-produzione e due di produzione. I mesi di pre-produzione sono stati così tanti proprio perché era necessario ambientarsi bene. Ovviamente ho incontrato molte difficoltà, perché ci trovavamo a undici ore da Città del Messico e dunque, visto che lì è un paesino molto isolato, se serviva qualcosa era difficile farselo arrivare. Si era lontano da tutti e da tutto. Durante le riprese mi sono anche ammalato e questo naturalmente ha fatto sì che la produzione rallentasse e che crescessero i costi. Ma alla fine ce l'abbiamo fatta.

La troupe da quante persone era composta?

Durante la pre-produzione ero da solo, poi si è aggiunta la direttrice di produzione e, quindi, proprio al momento delle riprese, eravamo in tredici. Il cast tecnico era in gran parte messicano.

Visto che hai lavorato con attori non-professionisti, come è andata la fase di scrittura? Era tutto scritto oppure necessariamente qualcosa avete improvvisato?

No, avevo scritto tutto. Ma, naturalmente, la sceneggiatura è servita come canovaccio. Avevo scritto la base, lo scheletro delle azioni, ma poi le parole dei protagonisti erano improvvisate. Li ho lasciati liberi di esprimersi nel modo in cui parlano di solito, senza provare a mettergli in bocca delle battute che non sentivano. Di volta in volta ne parlavamo insieme e ci organizzavamo. Così, non solo è stato più facile lavorare con loro, ma è stato anche più realistico. Questo metodo ha dato più naturalezza al film, in particolare ai personaggi delle figlie che nella sceneggiatura erano ancora troppo costruite e, invece, l'incontro con le vere protagoniste mi ha permesso di addentrarmi in un maggior realismo.

Come hanno reagito gli attori quando hanno visto il film?

La prima volta che l'hanno visto è stato a un festival messicano, al Festival Internacional de Cine de Morelia. Erano commossi perché si sono riconosciuti nella storia. È stato molto appassionante per loro girare il film perché mettevamo in scena una vita simile alla loro, ma è stato anche molto stancante e noioso, perché ovviamente la lavorazione di un film richiede anche lunghe attese. Essendo attori non professionisti non erano abituati, ma col tempo si sono adattati. Ad un certo punto addirittura non vedevano l'ora che finisse il momento delle riprese, ma poi appena è finito tutto hanno cominciato ad avere nostalgia del set.

Lo stato di Guerrero è noto per essere uno dei luoghi più turistici del Messico, a partire dalla città di Acapulco. Tu invece mostri un aspetto diverso di quella regione, povero e popolare, distante anni luce dal turismo.

Sì, è vero, ma la scelta è nata dal fatto che seguivo il mio protagonista, Pedro. In qualunque posto lui fosse andato, io l'avrei seguito. La zona di Guerrero che mostro è quanto di più lontano possa essere dalle attrazioni turistiche, è la zona della montagna. Ed è in generale uno dei luoghi più poveri del Messico.

C'è una scena molto bella e simbolica all'interno del film, è quella in cui gli studenti fanno il giuramento alla bandiera del Messico. Come è nata questa sequenza?

Mentre facevo il casting per cercare il personaggio di Lorena [la figlia maggiore del personaggio di Pedro, n.d.r.] andavo nelle scuole. E tutti i lunedì e tutti i venerdì in Messico c'è questo rito collettivo e consolidato di fare il saluto alla bandiera. È un rituale che ha finito per ossessionarmi, mi tormentava durante questo periodo di lavoro e, dunque, ho deciso di metterlo nel film. Così, quando il personaggio di Pedro è costretto a ripartire, ho voluto mostrare indirettamente la sfiducia della sua figlia maggiore nelle istituzioni. Non c'è nulla di esplicito ovviamente, ma il riferimento è chiarissimo.

Ci puoi raccontare qualcosa a proposito del Festival di Cannes. Che accoglienza ha avuto il film, al di là della vittoria nella sezione della Semaine de la Critique?

Beh, è stato molto emozionante. Visto che per me era il primo film, è stata una novità e un'emozione anche il solo fatto di iscriverci al festival e di provare a spedire una copia, pensate che emozione e che sorpresa quando abbiamo saputo che eravamo stati selezionati e che poi abbiamo vinto! Lì a Cannes è tutto molto enorme, la copertura della stampa, la presenza del pubblico, ecc. Il film è stato accolto in maniera molto positiva. Al momento della prima proiezione ero tesissimo perché non potevo sapere se sarebbe piaciuto oppure no. Ed è andata bene, abbiamo avuto un applauso caldo, partecipe, anche se continuavo a temere che fosse un applauso di circostanza. Insomma, c'è stata una così grande attenzione nei confronti del film che, a posteriori, mi domando se per caso non sia riuscito a sfruttare tutte le grandi opportunità che questa occasione poteva darmi. In ogni caso, sono felicissimo, anche perché la Semaine de la Critique del Festival di Cannes è molto più importante di quanto non lo sia in altri festival.

Dove è stato venduto il film?

Oltre all'Italia è stato venduto in Spagna, in Olanda, negli Stati uniti, in Canada e, ovviamente, anche in Francia, dove è stato in cartellone per quasi cinque mesi tra una zona e l'altra del paese.