Recensione Strafumati (2008)

Apatow, Green, Rogen e soci sfornano un film che coniuga gli elementi della commedia goliardica e logorroica con azione e violenza grottesca.

Quanto sangue per una stoner comedy

Non potrebbe iniziare in maniera più programmatica, questo Strafumati: un prologo completamente slegato dalla vicenda principale apre il film, portandoci nel 1937, in una non meglio specificata area rurale degli States dove, in una segretissima e sotterranea installazione militare, si stanno studiando gli effetti dell'assunzione di marijuana. L'immancabile feticcio apatowiano Bill Hader interpreta un soldato che ha fatto da cavia, e che, ormai preda di una tosse inarrestabile indotta dagli effluvii, viene interrogato in presenza delle alte sfere che debbono trarre le conclusioni sul progetto. Il risultato è spettacolosamente grottesco, e abbastanza preoccupante da indurre il generale Brat (James Remar) a sentenziare immediatamente la condanna all'illegalità di cannabis e affini.
Anche se più tardi l'abuso di droghe leggere viene scoraggiato attraverso la crisi di coscienza di un Seth Rogen piegato dagli avvenimenti, resta intatto il messaggio dei realizzatori: se la marijuana non fosse stata illegale, quello che state per vedere non sarebbe accaduto.

Quello che invece accade è che Dale Denton (Rogen), che lavora per un'agenzia che si occupa della consegna di comunicazioni legali a destinari recalcitranti, per ingannare i quali è solito travestirsi e mimetizzarsi, acquista dal suo spacciatore di fiducia Saul (James Franco) un quantitativo di erba davvero esplosiva, chiamata Pineapple Express (ovvero il titolo originale del film). Secondo Saul, "fumarla è peccaminoso quanto uccidere un unicorno".
Ed è proprio per godersi il suo 'unicornicidio' che Dale ferma l'auto davanti alla dimora di Ted Jones, l'uomo a cui deve consegnare la sua prossima comunicazione giudiziaria. Ma ecco sopraggiungere un'auto della polizia: per evitare di essere colto in flagrante, Dale si nasconde e vede una donna poliziotto scendere ed entrare nell'edificio. Sollevato, Dale ritorna alla sua canna, ma viene nuovamente interrotto da un colpo di pistola: a una finestra, Dale vede Jones (Gary Cole) sparare a un uomo dai tratti

orientale, e la poliziotta finire la vittima con un altro colpo. Terrorizzato, Dale abbandona lo spinello fumante e abbandona la scena. Peccato che il criminale sia uno dei principali trafficanti di droga sul territorio, e che per questo sia in grado di fiutare immediatamente la traccia: Pineapple Express!

A Dale non resta che tentare una rocambolesca fuga in compagnia di Saul, che è l'unico spacciatore di Pineapple Express della zona e che quindi sarà obiettivo degli scagnozzi di Jones; questi, tra l'altro, è convinto che Dale sia un emissario dei suoi rivali e nemici cinesi, ed è deciso a non risparmiare sul gioco sporco pur di ottenere il controllo del mercato. Ne consegue una caccia serrata e una escalation di violenza che, nel finale, vive una esilarante apoteosi.

Rispetto ai più riusciti sforzi della gang di Judd Apatow, Pineapple Express non è certamente un film perfetto. Il trio di sceneaggiatori (Apatow, Rogen e Evan Goldberg) ha prodotto script più compatti, organici e consistentemente divertenti per Molto incinta e Superbad. Strafumati è appesantito da qualche lungaggine e di qualche sterile subplot, ma ha il vantaggio notevole dell'originalità, merce sempre più rara; certo, l'applicazione dei registri della commedia a una crime story fa pensare a un illustre precedessore su tutti, un film che Strafumati sembra in più di un'occasione citare quasi letteralmente: Pulp Fiction. Nelle sue propaggini action, invece, e soprattutto nel dilagante finale, il film sembra più uno spoof di Die Hard, e il risultato è bizzarro e

assolutamente dilettevole anche da sobri.
A questo va aggiunta la qualità delle performance. Se Seth Rogen e Danny R. McBride sono durevolmente ridicoli ed efficacemente idioti, James Franco è iconico nella sua celebrazione della stoner culture: il suo personaggio, dotato della stessa negligente coolness di un Dude Lebowski ma anche di una tenera fragilità emotiva, è l'elemento più convincente ed umano all'interno di un plot che, nostante l'ampio spazio dato alla logorrea alterata, alla violenza grafica e all'azione pirotecnica, non manca di caratterizzare accuratamente e intelligentemente i suoi protagonisti.

Movieplayer.it

3.0/5