Recensione La notte del mio primo amore (2005)

Se, da un lato, Pambianco sembra davvero saperci fare con la cinepresa (digitale), il problema sorge una di fronte ad una sceneggiatura risibile, di un'approssimazione davvero singolare.

Quando l'amore non basta, ovvero: l'etica del ridicolo

La vita di un tranquillo paesino di provincia è turbata dalle efferatezze compiute da un serial killer che rapisce giovani donne per sottoporle ad un macabro rituale di morte. Chiara (Giulia Ruffinelli) ha appena compiuto diciassette anni : è una ragazza come tante altre che, insieme all'amica Marina (Valentina Izumi), vive i suoi primi innamoramenti, le gioie, le delusioni ed il desiderio di diventare adulta .
Quando la sua relazione con Andrea (Luca Bastianello) termina con l'ennesimo litigio, Chiara, un po' per ripicca un po' per vanità, si getta tra le braccia dell'affascinante Matteo (Damiano Verrocchi), istruttore in una palestra, con il quale decide di trascorre un fine settimana in una villa isolata, immersa nel verde della campagna .
Ma bastano pochi attimi per rendersi conto che ...

Dietro ad un titolo che, un po' furbamente, strizza l'occhio alle più recenti commedie sentimentali per adolescenti (vedi Notte Prima Degli Esami o, meglio ancora, L'Estate Del Mio Primo Bacio) si nasconde, in realtà, l'orrorifica opera del giovane Alessandro Pambianco, già visto dietro la macchina da presa nel documentaristico Terni città moderna città d'autore: l'opera di Mario Ridolfi, uscito nel 2004, sempre per la PARS Film .
Dichiarato come primo teen - blood all'italiana, questo La notte del mio primo amore è un prodotto alquanto mediocre, estremamente superficiale, che cerca, seppur invano, di clonare quegli aspetti tipici dei tanti acclamati e remunerativi horror d'oltreoceano (inutile citare i vari Scream o la saga del nerboruto Jason), cercando, ovviamente, di adattarli, in quanto a tematiche, al ben più esigente pubblico di casa nostra .

Un esperimento già tentato in passato con lavori del calibro di Medley, firmato Zarantonello, o del più intraprendente Sick-o-pathic, girato nel 1996 da Brigida Costa e Massimo Lavagnini: due pellicole che molto devono al cinema di Todd Sheets o di Scooter McCrae, ma che all'epoca non riscossero la giusta dose di attenzione, finendo per essere distribuiti soltanto sul mercato dell'home video.
Quindi spazio a famiglie borghesi tutte soldi e niente affetto, amori clandestini, fascinosi assassini seriali e stereotipati modelli tardo adolescenziali degni della peggiore rivisitazione de Il tempo delle mele: insomma, un deprimente ritratto della società contemporanea persa nei suoi più monotoni e banali clichè .
Questo è il problema .
Se, da un lato, Pambianco sembra davvero saperci fare con la cinepresa (digitale), riuscendo a dosare sapientemente i ritmi lenti della narrazione con quelli più veloci e dinamici delle (poche) scene d'azione, senza mai perdersi in inutili virtuosismi, il problema sorge di fronte ad una sceneggiatura risibile, di un'approssimazione davvero singolare.
A sorprenderci non tanto la pressoché assente unità narrativa o i soliti luoghi comuni ultra abusati dal moderno cinema dell'orrore (quante volte ancora dobbiamo assistere alla classica scena in cui una potenziale vittima, inseguita dal pazzo omicida di turno, cade rovinosamente a terra per finire nelle grinfie di suddetto criminale?), ma la totale mancanza di veri e propri dialoghi che vadano oltre quell'ingenua e fastidiosa apparenza tanto cara ai lettori di rosa, stile Tre metri sopra il cielo. Inutile dire quanto questo penalizzi il risultato finale, portandolo alla noia e contribuendo ad alimentare il ridicolo già aggravato da espedienti scenici che definire off-limits è quanto di più eufemistico possa esistere sulla faccia della terra.

Non è certo colpa della semi-amatorialità dell'operazione, finanziata con un budget da film indipendente, ma della pochezza e dell'aridità delle idee: se è con un prodotto come questo che si auspicava il ritorno del nostro cinema di genere ai gloriosi fasti di Fulci, Bava o Di Leo, c'è davvero poco da sperare e davvero poco in cui credere .
Nonostante la presenza di un "certo" Daniele Baldacci alla direzione fotografica, uno degli artisti (paradossalmente) più innovativi nel celluloso panorama tricolore, e per l'ottima interpretazione di alcune giovani promesse (tra cui proprio la Ruffinelli, alla sua prima apparizione cinematografica), il risultato è quello che è. Un esperimento riuscito quasi a metà.
Purtroppo.