Quando Hitler rubò il coniglio rosa, la recensione: Dedicato a tutti i rifugiati

La recensione di Quando Hitler rubò il coniglio rosa: il film di Caroline Link, dal 28 aprile al cinema, è tratto dal romanzo autobiografico di Judith Kerr che racconta la fuga della scrittrice e della sua famiglia di origine ebraica dalla Germania nazista.

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: Riva Krymalowski in una scena

Il 25 aprile è passato da qualche giorno, e si è discusso ancora una volta del significato di questa ricorrenza. Al cinema, per fortuna, continuano a uscire film che ci ricordano il perché si festeggia. Vi raccontiamo un'altra storia legata al Nazismo nella recensione di Quando Hitler rubò il coniglio rosa, il film di Caroline Link dal 28 aprile al cinema. Il film è tratto dal romanzo autobiografico di Judith Kerr che racconta la fuga della scrittrice e della sua famiglia di origine ebraica dalla Germania nazista. In quella storia Judith Kerr aveva nove anni. E allora Quando Hitler rubò il coniglio rosa è l'occasione per raccontare questa storia guardandola dal punto di vista di una bambina, quello di chi certe atrocità fa fatica a capirle. Quando Hitler rubò il coniglio rosa è una storia interessante, naturalmente ingenua, e in fondo efficace per far capire non solo che cosa sia stato il Nazismo, ma anche che cosa sia la condizione di rifugiati.

Da Berlino a Londra

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: Riva Krymalowski durante una scena

Siamo nella Berlino del 1933. È Carnevale. Alcuni bambini sono a una festa, vestiti in maschera. C'è chi, ad esempio, è travestito da Zorro. Un gruppo di bambini, però si presenta alla festa non mascherato. Hanno delle uniformi, quelle naziste. E il loro comportamento rispecchia l'abito che indossano. Poco dopo siamo nella casa dei Kemper, una famiglia ebrea di Berlino. Arthur, il padre, è un intellettuale, un giornalista che scrive su alcuni giornali, ed è un chiaro oppositore di Adolf Hitler. Siamo alla soglia delle elezioni che faranno salire Hitler al potere, e una soffiata avvisa loro che Arthur è su una lista nera. Così la famiglia lascia Berlino, e si trasferisce in Svizzera. Lì, però, non vogliono pubblicare gli articoli di Arthur, dichiaratamente contro Hitler. E la famiglia Kemper si trasferisce ancora, stavolta a Parigi. E poi a Londra. Mentre i nazisti hanno messo una taglia sulla sua testa, i bambini soffrono i tanti trasferimenti. E continuano a chiedere dove sono finiti i giocattoli, che hanno dovuto lasciare a Berlino, e che sono stati confiscati insieme a tutti i beni di famiglia. Tra cui c'è il coniglio rosa di peluche della piccola Anna.

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Dal punto di vista dei bambini

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: una foto del film

Raccontare il Nazismo dal punto di vista dei bambini è stata spesso una chiave di lettura interessante. Pensiamo a La vita è bella, o Il bambino con il pigiama a righe, o al recente Jojo Rabbit. Ma anche i vari film dedicati ad Anna Frank, se ci pensiamo, mostrano il Nazismo con gli occhi di una bambina. È quello che accade anche in Quando Hitler rubò il coniglio rosa. La storia, anche se racconta la vita di tutti e quattro i membri della famiglia, indugia spesso sul punto di vista della più piccola di casa, la figlia Anna, che è l'alter ego di Judith Kerr. La forza di film come questi è di accrescere l'assurdità del Nazismo e della Seconda Guerra Mondiale. Se è una cosa inspiegabile anche per un adulto, figuriamoci cosa può capire un bambino, come può capacitarsene, come può prendere il fatto di dover lasciare la propria casa, e cambiare continuamente città. Roberto Benigni, ne La vita è bella, si inventava un gioco a premi per spiegare, o meglio, non spiegare, al figlio i campi di concentramento. Qui genitori ci provano da subito a spiegare che cosa sta accadendo. E i bambini un po' lo capiscono, un po' no, un po' si rassegnano. Quello che Anna non capisce è cosa ci farà Hitler con i loro giocattoli, e con il suo coniglio rosa.

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: Oliver Masucci e Riva Krymalowski in una scena

La condizione di rifugiati

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: Oliver Masucci con Riva Krymalowski

Quando Hitler rubò un coniglio rosa non è la solita vicenda legata all'Olocausto. Racconta la storia vera, ma è come una favola in fondo, di una famiglia che ce l'ha fatta a lasciare in tempo la Germania. E allora, a differenza di tanti film di questo filone, non ci sono retate, non ci sono i treni, i deportati, i campi di concentramento. Le sequenze del film raccontano una vita normale, che però normale non è. I protagonisti del film non rischiano la vita - anche se un senso di pericolo incombe su tutto i film - e una loro vita riescono a viverla. Ma è nelle piccole cose che cambiano il dramma: le difficoltò economiche, il continuo adattarsi a nuovi ambienti, quelle piccole grandi mancanze rispetto alla loro vita di tutti i giorni. Quando Hitler rubò il coniglio rosa racconta la condizione di rifugiati. Il provare a fare una vita normale quando normale non lo è affatto. E allora, pur pensando al nazismo, il pensiero va ai rifugiati di oggi, quelli che le guerre recenti stanno costringendo a spostarsi. é un racconto tutto sommato quieto, posato, mai realmente violento. Eppure molto malinconico e doloroso.

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Un mondo ad altezza bambino

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Quando Hitler rubò il coniglio rosa: Riva Krymalowski in una scena del film

La confezione è quella di tanti prodotti medi in arrivo dalla Germania. La scrittura e la messinscena, hanno un che di televisivo, anche se la ricostruzione d'epoca è abbastanza accurata. C'è una certa ingenuità di fondo, in tutto il film, ma ha anche un suo senso raccontando un mondo ad altezza bambino. C'è, però, lungo tutta la storia un calore, il senso dell'unione familiare, un tono di racconto, mai troppo drammatico, che a tratti commuove.

Conclusioni

Come vi abbiamo spiegato nella recensione di Quando Hitler rubò il coniglio rosa, è una storia interessante, naturalmente ingenua, e in fondo efficace per far capire non solo che cosa sia stato il Nazismo, ma anche che cosa sia la condizione di rifugiati.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • L'idea di raccontare la storia dal punto di vista di un bambino è sempre efficace.
  • Il calore della famiglia e la sua unità è qualcosa che a tratti commuove.
  • Si parla di Nazismo, ma il film fa pensare anche a tutti i rifugiati di oggi.

Cosa non va

  • La confezione, scrittura è messinscena, è di stampo televisivo.
  • Il film vive di una certa ingenuità, che però si rivela funzionale al racconto.