Iniziamo questa nostra recensione di Punta Sacra sapendo già che sarà complesso descrivere a parole un film che fa della potenza delle immagini il suo motore principale. È ciò che salta all'occhio sin dalle prime sequenze di questo documentario diretto da Francesca Mazzoleni, candidato ai David di Donatello, che vuole raccontare non tanto una storia, quanto un'intera comunità. Lo fa, comunque, con un forte senso narrativo, avendo chiaro l'obiettivo di parlare a un pubblico che viene invitato ad osservare un mondo unico. Questo pluripremiato film dal 10 giugno arriva finalmente al cinema, trovando nel buio della sala e nel grande schermo la dimensione adatta per il lirismo di questi 94 minuti.
La vita fragile
Roma. L'Idroscalo di Ostia è un lembo di terra che divide il Tevere dal mare. Da più di sessant'anni quella terra è abitata, ma un'ordinanza del 2010 ha fatto abbattere quasi metà delle case. Il racconto di Punta Sacra, così come viene chiamato dagli abitanti del luogo, parte da qui: dalla comunità rimasta, poche centinaia di famiglie, che teme di vedere la propria casa e quel microcosmo crollare. Non è un documentario di denuncia, quello di Francesca Mazzoleni, non intende promulgare una tesi a scopo didattico. È un documentario di poesia, ripieno di calore umano e di una fiducia nello sguardo dello spettatore che lascia commossi. Sin dalle prime immagini, il film mette in mostra un certo lirismo presente nelle immagini, un'estetica del meraviglioso applicata a una zona che, proprio per essere posta ai margini del mare, nel confine tra terra e acqua, sembra appartenere a un mondo distante da quello a cui siamo abituati. Eppure, porgendo lo sguardo della macchina da presa sui volti, sulle diverse generazioni e sulle diverse famiglie che abitano l'Idroscalo, Francesca Mazzoleni riesce a creare un raro esempio di empatia attraverso il cinema, a legare scrutato e scrutatore, a unire vite e persone. Il documentario diventa quindi lo stesso lembo di terra che collega la penisola al mare.
Alla ricerca del sacro
Non poteva esserci titolo più appropriato di Punta Sacra per descrivere la maniera in cui noi spettatori diventiamo visitatori intimi e privati della comunità del posto. Attraverso tramonti, riprese aeree e una generale delicatezza nel catturare i volti degli abitanti del posto, la sensazione è quella di trovarsi in un luogo sacrale. Tutto l'opposto di quanto, invece, la credenza comune associa all'Idroscalo di Ostia al degrado e alla morte di Pasolini (personalità citata spesso all'interno del film). Non a caso è proprio il prete del paese a stimolare una chiave di lettura più spirituale ed esistenziale. Seguendo la vita quotidiana delle famiglie della comunità, tra battibecchi, discussioni, momenti di gioia e ballo, ma anche di riflessioni sul proprio futuro e semplici momenti di amicizia, Punta Sacra si spoglia delle vesti del documentario nudo e crudo per diventare narrazione della ricerca di sé. E quindi diventa universale.
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Il divino femminile
È un racconto di resistenza, di famiglie che non vogliono abbandonare quella che per loro è casa, ma anche un racconto generazionale, in cui i giovani e le figlie acquisiscono la tradizione delle madri, ma le fanno proprie, aggiornandole alle loro esigenze e ai loro sogni. Diviso in sette capitoli, Punta Sacra richiede uno sforzo non banale da parte dello spettatore: accogliere il calore e la forza di questa comunità. Approcciarsi al film in maniera fredda e distaccata renderebbe molto complessa la visione dell'opera che, oltre all'ottimo impianto visivo, intende stimolare alcune riflessioni, spesso legate a una dimensione femminile. Non ci riferiamo solamente allo sguardo della regista che sa cogliere le sfaccettature delle numerose donne che vengono portate in scena. La nostra attenzione si porge alle parole che compongono questo mosaico narrativo: l'appartenenza, la ricerca, la resistenza, la terra, la casa. Come se Ostia fosse un grembo materno primordiale in cui avvampa il fuoco della famiglia, un contenitore di esistenze, questo lembo di terra è quanto di più vicino alla messa in scena di un divino femminile. E proprio in questa femminilità si ritrova la vita stessa.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Punta Sacra sottolineando come il documentario di Francesca Mazzoleni sappia raccontare un microcosmo posto ai confini e renderlo universale. In questo lembo di terra, perfettamente fotografato con immagini poetiche e un occhio estremamente sensibile verso gli abitanti, a Punta Sacra si svolge la vita stessa, colma di lotta, di speranza e di futuro. Una festa per gli occhi e per il cuore. A patto che lo spettatore sia disposto ad aprirsi come le persone in scena e ad accogliere questo calore.
Perché ci piace
- La regia di Francesca Mazzoleni sa regalare uno sguardo sensibile.
- Il microcosmo dell’Idroscalo di Ostia, attraverso le storie dei suoi abitanti, diventa un racconto universale sull’esistenza.
- Il documentario non intende procedere per tesi o essere didattico, ma regalare uno sguardo poetico come solo il cinema può fare.
Cosa non va
- Le tematiche emotive potrebbero causare un muro verso lo spettatore più freddo e meno empatico.