"Non è un segnale, è un avvertimento." Per un bizzarro collegamento mentale, è la citazione di The Batman che ci viene in mente mentre scriviamo di Principessa Mononoke che torna in sala grazie all'iniziativa organizzata da Lucky Red per questa estate, inaugurata a inizio mese da La città incantata. Un avvertimento, questo era stato 25 anni fa il capolavoro di Hayao Miyazaki al suo debutto in sala il 12 luglio 1997. Un avvertimento, un monito, che non abbiamo voluto ascoltare e che nel rivedere il film, ancora potente, feroce e attualissimo, assume i toni di una minaccia.
L'avvertimento non ascoltato
Fa effetto ripensare a Principessa Mononoke e scrivere queste righe oggi, in un'estate afflitta da siccità e altri disastri legati al cambiamento climatico. Sembra quasi di vedere il volto sornione di Hayao Miyazaki che fa una smorfia e sussurra il suo "ve l'avevo detto". E l'aveva fatto più volte, sin da Nausicaa della valle del vento del 1984 o Conan ragazzo del futuro, altri capolavori del sensei che si muovevano in mondi devastati dall'opera dell'uomo. Ciò che c'è di diverso in Principessa Mononoke è in primo luogo la scelta di guardare al passato, al periodo Muromachi, ovvero al medioevo del Giappone, come a sottolineare la tendenza al sopruso della civiltà umana come un peccato originale; e in secondo luogo la ferocia con cui il conflitto tra uomo e natura si presenta, che rende il film uno dei più crudi del maestro giapponese.
Recensione Principessa Mononoke (1997)
La forza di San
Una ferocia che si incarna nella figura di San, ragazza allevata dai lupi che vive nella natura e la difende schierandosi contro gli uomini nella lotta che si viene a creare. È la principessa Mononoke del titolo italiano che non può rendere giustizia all'originale, perché perde la sfumatura di significato che il vocabolo giapponese porta con sé, riferendosi a spiriti vendicati che connotano il personaggio della principessa (hime nel titolo giapponese). Una principessa vendicativa che rappresenta uno dei personaggi più forti e affascinanti di Hayao Miyazaki, perfetta antagonista per il principe Ashitaka da cui la storia del film prende le mosse, esiliato dopo lo scontro con tatarigami, un cinghiale/demone che ha attaccato il suo villaggio.
Se la forza di San non è dissimile da quella che avevamo incontrato in altre eroine di Miyazaki, Nausicaa in primis, la Principessa Mononoke non ha la stessa purezza e dolcezza, ma vive di una cruda fierezza perfetta per incarnare il ruolo che ricopre in questo duro scontro tra uomo e natura, tra terreno e ultraterreno, ponendosi a metà tra le forze in gioco in una lotta che non ha buoni o cattivi: non è San l'eroina, né lo è Ashitaka che pure ha una solida e rispettabile morale, semplicemente perché ci sono motivazioni e interessi da entrambe le parti e l'esito dello scontro non è risolutivo, ma rimandato a un altro momento e luogo. A un equilibrio da trovare, di cui i due ragazzi diventano simbolo.
Principessa Mononoke: la nostra recensione del blu-ray
La cruda ballata della Natura feroce
Nella forza animalesca di San, nella sua ferocia, si nasconde lo sguardo dello stesso Hayao Miyazaki, che mette in scena le sue tematiche classiche in maniera lucida e compiuta dal punto di vista narrativo. Lo fa in un film epico per impianto visivo e sforzo produttivo, con una storia che ci immerge in un momento di transizione importante per il Giappone, in quei secoli di instabilità politica e contatti con l'esterno. Non è il Miyazaki sognante e fiabesco quello de la Principessa Mononoke e siamo lontani da Totoro o Ponyo; è piuttosto un Miyazaki con i piedi saldamente ancorati a terra, al suolo della foresta che è la vera protagonista della storia, al nostro comportamento da condannare, partendo dal passato per parlare di presente e sperare in un futuro da vivere in equilibrio. Noi esseri umani e il pianeta che ci ospita.