Primavera, recensione: musica e rivoluzione. L'estro di Michieletto funziona (anche) al cinema

Al centro del film l'arte e la libertà che sfidano l'establishment politico e religioso. Uno spunto universale, che parte dalle note di Vivaldi arrivando fino ai giorni nostri. Protagonisti Tecla Insolia e Michele Riondino. Da Natale al cinema.

Tecla Insolia e Michele Riondino

Primavera di Damiano Michieletto è un ottimo film. Ad averne (più spesso) visioni così puntuali e così viscerali, mosse da un'elegante ma decisa urgenza artistica che si addentra nei meandri dell'arte (e dell'arte commissionata) come contrasto al potere istituito. Nemmeno a dirlo, roba di stretta attualità, e sicuramente di universale declinazione. Tecnicamente, quello di Michieletto, è un esordio dietro la macchina da presa in un lungometraggio, dopo l'ibrido Gianni Schicchi del 2021. L'apprezzato - e internazionale - regista teatrale, infatti, adatta il romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa raccontando ciò che conosce meglio: la musica. A firmare la sceneggiatura di Primavera, che vibra fin dal titolo, Ludovica Rampoldi.

Primavera: Tecla Insolia e Michele Riondino, allieva e maestro

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Primavera: una foto dal set del film diretto da Damiano Michieletto

Per cominciare, un avvertimento e, in un certo senso, una lode: l'incipit di Primavera, che si muove sulle composizioni originali di Fabio Massimo Capogrosso - con ovvie inflessioni barocche -, è sconvolgente. Insomma, ci vuole coraggio e ci vuole sicurezza per attaccare con una scena che più brutale non si potrebbe: dei gattini appena nati vengono strappati dal grembo materno e buttati nei canali veneziani. Sconvolti noi, e sconvolte le orfane dell'Ospedale della Pietà. Tra loro, la protagonista, Cecilia (Tecla Insolia), vent'anni e l'innata predisposizione per il violino.

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Una scena di Primavera

Tuttavia, un gesto così violento (e la violenza sarà un'altra traccia importante del film) è presto spiegato: tra le quattro mura dell'orfanotrofio non c'è spazio per l'empatia, dominano la tecnica e la disciplina. In qualche modo, quei gatti, sono la proiezione delle orfane stesse. Prove su prove, spartiti su spartiti per compiacere i ricchi mecenati settecenteschi che, complici laute donazioni, comprano le ragazze (anzi, ragazzine) in un'indulgenza cristiana asservita al denaro. Ma Cecilia è diversa, ha gli occhi grandi e il cuore in fiamme. È lei l'elemento di mezzo, il vento contrario che si alza quando nel convento arriva un nuovo insegnate di violino. Il nome? Antonio Vivaldi (Michele Riondino).

L'arte non prevede morale

Insomma, Michieletto parte dalla sua Venezia per raccontare tutta la bellezza del talento. Impuro, grezzo, eppure sorprendente, imprevedibile, tenace. Se non c'è mai sfarzo e ridondanza, il regista lavora di sottrazione anche nei momenti più drammatici, lasciando che siano i dettagli - sguardi, mani, silenzi - ad arricchire la scena. Ma il discorso, via via, tende ad allargarsi sempre più, estrapolando dal testo addirittura la figura di Don Antonio Vivaldi, avvicendandola con quella di Cecilia, entrambi eroi irregolari di un mondo in evoluzione.

Il maestro e l'allieva, l'incontro tra due solitudini. Oltre l'amore, oltre l'arte che non deve prevedere mai la morale. Un continuo scambio, a volte sovrapposto e a volte parallelo, generando così una notevole forza cinematografica, sicuramente esaltata dalla tecnica, dall'estetica e dalla costruzione. La fotografia di Daria D'Antonio tarata sulla scala dei grigi, per esempio, si lega meravigliosamente ai costumi di Maria Rita Barbera, e poi ancora alla scenografia di Gaspare De Pascali, studiata per soffocare la potenza riottosa (e avanguardista) di Cecilia.

Primavera, stagione di mezzo tra sogno e aspettativa

Insomma, se alcune transizioni narrative sembrano troppo nette - la morte dei gattini si lega ad un finale mosso da uno spunto di umanità - e manca nell'insieme un appunto emotivo, Primavera ha comunque una sua notevole personalità, in fatto di regia e di scrittura (la bravura di Insolia e Riondino non è di certo una novità). E se Michieletto non cede mai alla tentazione di accontentare il pubblico offrendo le note di Vivaldi - almeno fino ai titoli di coda -, la chiave di tutto è da leggere e da trovare nel titolo stesso: lo spartito di uno dei compositori più geniali e moderni (e per un lungo tempo decisamente sottovalutato) diventa lo spunto di una nuova e rivoluzionaria visione, affidata allo sguardo fiero e resistente di un'orfana che sfida l'establishment politico, sociale e religioso.

Ironico, se pensiamo quanto il potere si sia sempre servito dell'arte (e viceversa), e ancora più appuntito considerando quanto oggi certi artisti continuino ad aver paura di schierarsi, preferendo tristemente il silenzio assenso invece di andare - come Cecilia - in direzione ostinata e contraria. Ostinata e coraggiosa come la primavera, quella stagione di mezzo sospesa tra il sogno e l'aspettativa.

Conclusioni

Al centro di Primavera troviamo l'arte e la libertà, declinati da Damiano Michieletto secondo uno spartito musicale che vibra fin dal t itolo. Al centro la sfida all'establishment politico e religioso, mossa da un moto ondoso rivoluzionario e inaspettato. Uno spunto universale, dunque, che parte dalle note di Antonio Vivaldi arrivando fino ai giorni nostri. Tecla Insolia e Michele Riondino bravissimi, ma non è una novità.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Il finale funziona.
  • La bravura del cast.
  • L'incipit, violento e inaspettato.
  • Tecnicamente ottimo.

Cosa non va

  • Forse manca il picco narrativo.