Isao Takahata è stato per certi versi il più importante artista d'animazione nipponico degli ultimi 50 anni. Probabilmente, il più bravo ed efficace a portare i temi e soprattutto i modi del cinema giapponese tradizionale in un mondo che vive di un linguaggio con potenzialità, logiche e prospettive molto diverse. Per farlo, però, ha dovuto sempre mantenere coerenti due strade, pagando per esempio un riconoscimento mondiale inferiore rispetto al suo pupillo e il suo sodale più stretto, Hayao Miyazaki.
Laddove, infatti, Miyazaki ha sempre rappresentato la sintesi perfetta tra le necessità dell'animazione, aperta al progresso e al moderno, e lo spirito più tradizionale del suo vissuto culturale; Takahata è stato invece l'emblema di ciò che poteva piegare il rapporto, aprendo paradossalmente la strada ad un immaginario inedito e straordinario. Il suo cinema è più sperimentale, maturo, difficile, esclusivo, politico e diffidente rispetto al lato più pop e più commerciale di altri autori suoi coetanei. Per questo, a guardare la sua filmografia, Pom Poko è un film decisamente importante.
Ci spieghiamo: il suo terzo lavoro animato con lo Studio Ghibli è infatti probabilmente l'unico di tutta la produzione a sposare il folklore giapponese, la classica narrazione del grande trauma sociale della società nipponica, i temi politici più urgenti e vicini al pensiero di Paku-san (come Takahata era chiamato da chi gli era più vicino) e, allo stesso tempo, il più preciso e attento alle necessità di produzione e di box office. Un caso più unico che raro.
La visione di Takahata
Per capire quanto per Isao Takahata il lato industriale del cinema fosse di quanto più lontano dalla sua visione, basti pensare che il suo primo film pensato per lo Studio Ghibli fu l'ormai semisconosciuto Yanagawa horiwari monogatari del 1987, inizialmente un docufiction d'animazione di circa 3 ore (impresa titanica), ma, dopo che il regista toccò con mano l'impegno degli abitanti della città dove doveva essere ambientata la storia per la pulizia dei canali, divenne un documentario live action. Un puro atto politico, che mise in secondo piano (se non in terzo) qualsiasi progettazione o premessa iniziale.
La visione di Takahata era totalmente artistica nella misura in cui qualsiasi suo progetto era adoperato per essere prima al servizio dell'animazione stessa e poi per ciò che raccontava. Non c'era spazio per altro, figuratevi per costi o numeri. Un modo di lavorare che il Maestro ha mantenuto (per la gioia dei suoi collaboratori) fino alla sua ultima e mastodontica opera, La storia della principessa splendente, il film d'animazione "impossibile", più costoso di sempre e con la produzione più lunga di sempre (o comunque una delle più lunghe).
Pom poko (o "Heisei tanuki gassen Ponpoko" cioè "Ponpoko, la guerra dei tanuki del periodo Heisei"), più di Una tomba per le lucciole e Pioggia di Ricordi, è un'eccezione, perché conserva i temi ecologici, pacifisti, folkloristici, storici, così come l'amore per linguaggio d'animazione, dalla cura del tratto alla potenza evocativa, ma inserisce all'interno dell'equazione anche una facilità di lettura, perfetta per il grande pubblico. Un film per tutti, grandi e piccini, che fu l'ultimo tassello che segnò l'egemonia Ghibli al botteghino nipponico, incassando 2,63 miliardi di yen. Nessuna pellicola diretta da Takahata ha incassato così tanto.
L'eccezione che conferma la regola
L'idea della storia nacque in realtà da Hayao Miyazaki e da una riflessione sui famosi scritti per l'infanzia di Kenji Miyazawa. Pom Poko racconta della guerra dei tanuki (dei cani procioni con il potere di cambiare forma) contro gli umani, colpevoli di aver costretto questi innocenti esseri magici del mondo folkloristico nipponico a vivere di stenti in mezzo al poco verde rimasto a causa della continua urbanizzazione. Ancora un film politico, probabilmente il più politico, dove sono ancora fondanti sia il tema ecologista e sia il racconto della sofferenza tutta giapponese del cambiamento verso il mondo moderno.
Una trasformazione vista come un asservimento al nuovo, arrivato per distruggere gli spazi ideali e fisici di un Paese con dei valori più puri, giusti e potenti. Visione che Takahata acquisì sia per il suo vissuto (egli fu per esempio molto toccato dalla Seconda Guerra Mondiale) e sia da tutto il cinema che lo ha cresciuto, in primis quello di Yasujirō Ozu, che proprio di questo momento di cambiamento parlava. La guerra diventa la guerra degli ingenui e dei sognatori contro gli ingrati e i ciechi, una guerra violenta pensata per il grande schermo in modo violento e crudo, avendo però la cura di mantenere l'innocenza negli intenti dei tanuki, che rappresentano un Giappone tradizionale, ma trasfigurato per l'occasione.
La trasformazione degli animali magici diventa quindi quella del linguaggio d'animazione, che permette di ripresentarli agli occhi del grande pubblico, comprendendo anche i più piccoli. Ecco dove Pom Poko riesce ad andare incontro alle esigenze commerciali, concedendosi quel tanto che basta per non alterare minimamente la poetica di Takahata, che si avverte comunque in ogni secondo della pellicola. Un miracolo creativo, l'ennesimo del Maestro, ma anche incredibilmente particolare, perché in grado di parlare a tutti pur mantenendo forte e chiara l'inimitabile mente da cui proviene.