Piccolo corpo, recensione: fino al primo respiro

La recensione di Piccolo corpo, opera prima di Laura Samani che è stata presentata a Cannes 2021 all'interno della Semaine de la Critique.

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Piccolo corpo: Celeste Cescutti in una scena del film

Con la recensione di Piccolo corpo, esordio nel lungometraggio di Laura Samani che si è costruito un lodevole percorso festivaliero (tra cui un meritato premio FIPRESCI, assegnato dalla critica internazionale, a Lubiana, in Slovenia, uno dei tre paesi che hanno partecipato alla produzione) prima di approdare nelle sale, si ritorna ancora alle atmosfere dell'edizione 2021 del Festival di Cannes, kermesse che ha cercato di reinventarsi più in grande, almeno per quanto riguarda la Selezione Ufficiale, dopo aver saltato l'annata 2020. Più fedeli allo spirito di sempre sono state le sezioni parallele, tra cui la Semaine de la Critique, vetrina di prestigio per opere prime e seconde. E proprio in tale contesto, nel buio della piccola sala Miramar, in un ambito che si può a suo modo definire intimo, chi scrive ha visto per la prima volta il debutto registico di Samani, che proprio dell'intimità e della tenerezza più lancinante fa i suoi punti di forza, arrivando dritto al cuore con precisione millimetrica.

Alla ricerca di un miracolo

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Piccolo corpo: Celeste Cescutti in una scena del film

Il Piccolo corpo del titolo è quello della bambina che Agata (Celeste Cescutti), quindicenne residente nel Nord-Est dell'Italia all'inizio del Novecento, ha dato alla luce. Una piccola gioia molto provvisoria, dato che la bimba è nata morta e, per la rigida dottrina cattolica ancora in vigore, si ritrova condannata al Limbo. Ma esiste un luogo nelle montagne che, secondo le credenze locali, sarebbe la dimora di donne capaci di riportare in vita i bambini per un solo istante, quello necessario per il primo respiro e il battesimo, che salverà la creatura dalla dannazione eterna. E così Agata si mette in viaggio per salvare sua figlia, e lungo la strada fa la conoscenza di Lince, la cui indole selvaggia cela una conoscenza buonissima della zona in cui deve recarsi la protagonista, dando vita a un'alleanza nel segno della fede e dell'amore materno, inscalfibile anche dinanzi allo scetticismo dei compaesani che sono pronti ad accettare ciecamente i dogmi della Chiesa.

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Fantastica autorialità

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Piccolo corpo: una scena del film

Il caso vuole che il film sia passato a Cannes negli stessi giorni di Marx può aspettare, il documentario che Marco Bellocchio ha dedicato al fratello gemello, morto suicida. Anche lì si parla di Limbo, perché il fratello dava segni contraddittori di vita all'inizio, e vi è l'affascinante momento in cui un prete spiazza il regista, ateo convinto da decenni, definendolo "un apologeta della fede" per via della sua opera che spesso si è interrogata sui precetti della Chiesa (con l'apice rappresentato da L'ora di religione - Il sorriso di mia madre). Da un lato un maestro conclamato che esplora queste tematiche con un certo distacco, dall'altro una giovane esordiente che ci si tuffa a pesce - l'espressione non è del tutto casuale, data l'importanza narrativa e iconografica dell'acqua - e costruisce un universo verosimile e al contempo abitato dal fantastico, dove la precisione estetica si sposa con un'ambizione creativa che non disdegna l'esplorazione degli stilemi di genere. Una passione debordante che sembra dialogare con l'asciuttezza del cineasta più anziano, ponendo a confronto due generazioni che esplorano il passato per capire il presente, dove certe superstizioni possono ancora essere all'ordine del giorno.

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Piccolo corpo: una sequenza del film

Da quel punto di vista siamo dinanzi a una nuova, appassionante incarnazione del cinema giovane nostrano, non dissimile da quello che abbiamo visto con un altro esordio passato a Cannes nel medesimo periodo, Re Granchio. Come in quella stralunata e affascinante avventura dall'altra parte del globo, c'è nel microcosmo concepito da Laura Samani un'idea autoriale forte che abbraccia la contaminazione fra naturale e soprannaturale, andando oltre le ambizioni ridotte che uno tende a stereotipicamente associare alle opere prime di stampo italico (con l'eccezione di rilievo che è Lo chiamavano Jeeg Robot, ma in quel caso c'è un istinto pop molto consapevole). È un esordio che quasi non sembra tale, realizzato con una cura e una maturità che danno all'operazione un'eleganza cromaticamente fredda ma umanamente caldissima, una miscela che trasforma questo piccolo mondo in grande promessa da tenere d'occhio negli anni a venire.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di Piccolo corpo sottolineando come si tratti di un'opera prima delicata e al contempo ambiziosa, che crea un mondo magico e insieme molto verosimile, all'insegna della fede e dell'amore materno.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • Celeste Cescutti domina la scena con forza.
  • L'argomento è ricco di spunti tematici interessanti.
  • L'uso dei colori genera una componente visivo-emotiva di grande impatto drammatico.

Cosa non va

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