Recensione Pater (2011)

Un progetto sperimentale di fruibilità non sempre immediata, almeno non al di fuori dei confini francesi, questo che vede protagonisti Alain Cavalier e Vincent Lindon.

Piccoli film tra amici

In un concorso, come quello del 64. Festival di Cannes, ricco di film che suscitano consensi quasi unanimi, è certamente una scelta coraggiosa e un po' provocatoria quella di proporre un film come questo Pater di Alain Cavalier, che forse avrebbe avuto miglior fortuna in una sezione parallela, magari non competitiva. In parte documentario, in parte mockumentary, in gran parte semplicemente uno "scherzo", il film ha fondamentalmente due protagonisti, il regista e l'amico (e attore) Vincent Lindon; entrambi sono davanti alla macchina da presa nelle vesti di loro stessi, entrambi si alternano a riprendere l'altro, entrambi "giocano" nel preparsi una fittizia pellicola in cui rispettivamente interpreteranno il presidente francese ed il primo ministro.

Il tutto scorre come una sorta di collage di tante vignette, alcune spiritose, altre semplicemente autocompiaciute, in cui si parla di questo improbabile film, di cibo, di sport e di inezie varie e sullo sfondo c'è sempre un paese, la Francia, con i suoi problemi, la sua grandeur, la sua non facile situazione politica e sociale.

Il problema principale del film, oltre quello legato alla sua stessa natura sperimentale che ovviamente non favorisce l'approccio al grande pubblico, è proprio in questo essere essenzialmente francese, non solo nella realizzazione ma anche per il target. Come spesso capita nei festival, durante la proiezione i francesci ridono di gusto anche per scene francamente inspiegabili a noi "stranieri", segno evidente di una sensibilità spesso molto differente e di una difficile esportabilità.
In un concorso internazionale, però, uno dei requisiti principali di un'opera dovrebbe essere proprio l'universalità dei suoi temi e contenuti, e questo certamente non avviene con questo bizzarro progetto intitolato Pater.

Movieplayer.it

2.0/5