È stato uno dei film che più ha diviso allo scorso Festival di Cannes, Personal Shopper di Olivier Assayas, che finalmente arriva anche nelle nostre sale grazie alla distribuzione curata da Academy 2. Un film con una base di genere, una sorta di ghost story sulla quale poggia la storia più intima e personale della sua protagonista Maureen, assistente ed addetta al guardaroba di una celebrità dei nostri giorni, una di quelle capaci di catalizzare su di sé le attenzioni dei media e del mondo digitale.
Un personaggio che interpreta Kristen Stewart alla sua seconda collaborazione con il regista: dopo essere stata assistente di Juliette Binoche in Sils Maria, la star di Twilight fa un passo in avanti e diventa protagonista assoluta del nuovo lavoro del regista francese, che sostiene quasi da sola. Del ruolo preponderante dell'attrice e delle sue caratteristiche, ma anche dei temi di un film che ha più livelli di lettura e del processo creativo che ha portato ad esso, ha parlato il regista Olievier Assayas nel suo incontro con la stampa romana, al termine del quale ci ha concesso anche un incontro in esclusiva in cui abbiamo potuto approfondire ulteriormente alcuni spunti venuti fuori in conferenza stampa.
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La genesi di Personal Shopper
Come è nato Personal Shopper? Qual è stato il processo che ha portato dalla prima idea, più sperimentale, alla forma in cui l'abbiamo visto?
Spesso i miei film nascono da un personaggio e quello di Personal Shopper era con me da tanto tempo. Non ero sicuro che ci fosse una storia, ma continuava a ritornarmi in mente e per il mio modo di lavorare vuol dire che ci può essere qualcosa di più. Allora a un certo punto mi sono messo a scrivere per vedere se ci fosse realmente una storia e passo dopo passo ho capito quello che volevo esprimere attraverso questo film. Quando scrivo non so bene cosa sto facendo, lo so ora che il film è fatto e finito, ho avuto modo di parlarne e quindi ho un'idea molto chiara di quello che è. Ma quando inizio a scrivere e seguire un personaggio non so dove vado, nelle prime battute non so neanche se ci sia un film, e solo quando metto la parola fine capisco realmente quello che stavo cercando.
Se avesse potuto continuare a lavorare al film, sarebbe potuto cambiare ancora?
No, perché per me il processo di creazione di un film è qualcosa con un inizio e una fine. Il processo creativo di per sé non si ferma mai dalla prima idea al completamento della produzione, ma una volta che è finito è finito. Il pittore Pierre Bonnard andava nei musei e continuava a ritoccare le sue opere, ma non è così per me.
Lei ha dichiarato di odiare gli horror, ma il film ha delle sequenze di tensione molto efficaci.
Ho immaginato questo film come un quadro astratto, in cui si utilizzano linee e colori a seconda della necessità. Ho usato elementi di genere nello stesso modo in cui avrei usato per esempio il colore rosso in un quadro, perché ne avevo bisogno. Il cinema di genere stabilisce una relazione fisica con lo spettatore, in modo diverso da come riesce a fare un altro tipo di cinema. Era importante che lo spettatore si identificasse fisicamente con il personaggio di Maureen e si poteva ottenere solo usando questa sintassi. Volevo superare l'idea che il visibile è buono e l'invisibile è male, volevo fare un film in cui l'invisibile fa paura, ma alla fine può anche essere benevolo. Per questo ho voluto mettere nel film le due figure tutelari come Hilma af Klint e Victor Hugo, che sono legati a questo mondo.
Come ha scoperto questa artista svedese?
Per caso, un po' come la protagonista di Personal Shopper. Non ricordo bene se l'ho scoperta prima di iniziare a scrivere, facendo una ricerca sui medium e la comunicazione con l'aldilà, ma sono stato colpito da questo personaggio sconosciuto che è alle origini dell'arte moderna, la cui opera è stata ignorata fino a tempi recenti e che ci porta a riconsiderare tutta la storia dell'arte moderna.
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Il ruolo di Kristen Stewart
Ha detto che questo film non sarebbe stato possibile con un'attrice diversa da Kristen Stewart. Cosa ha di così unico e fondamentale per questa storia?
Ci sono due dimensioni diverse. La prima è che quando si lavora con un'attrice conosciutissima si ha una sorta di connessione con la sua generazione e mi dà la sensazione che, qualunque sia la storia che sto raccontando, c'è qualcuno che farà da portavoce, che creerà una connessione tra me, il mio linguaggio, e gli spettatori di cinema giovani. E questo è un aspetto importante. Ma c'è anche una fiducia che si è creata tra Kristen e me e so che posso provare delle cose anche strane e pericolose con lei perché c'è intesa. Posso scrivere delle cose astratte e lei dà loro vita, le rende reali. È una cosa che mi aveva molto colpito quando abbiamo lavorato a Sils Maria, perché ricordo che avevo scritto delle battute che mi sembravano molto astratte e mi meravigliò come Kristen sapesse rendere queste cose astratte assolutamente naturali e semplicissime. Mi dà la sensazione di un talento molto particolare e vorrei lavorare ancora con lei in futuro.
Un aspetto molto interessante del film è quello delle figure che ruotano attorno a queste celebrità dei giorni nostri. Cosa l'affascinava di questo mondo?
Più che affascinarmi, mi intriga. Ho trattato di questo mondo facendo Sils Maria, ma non sono andato realmente a cercare questa dimensione, piuttosto è essa che si è imposta a me. Nel senso che volendo trattare lo status di un'attrice oggi, nel mondo moderno, è una dimensione che esiste, quella della celebrità mediatica, digitale, che diventa una parte di quello che è un'artista contemporanea. In Personal Shopper ho avuto la voglia di capire un po' di più e mi sono reso conto che mi interessava questo aspetto della modernità perché è diventato un elemento presente nella nostra vita, siamo trasformati dal nostro rapporto con i mezzi di comunicazione e con il mondo digitale.
L'aspetto tecnologico
La tecnologia è infatti un altro grande tema del film.
Sono interessato all'uso che facciamo dello smartphone, che trasforma l'esperienza umana, rende gli individui in connessione costante con i suoi conoscenti. È una cosa molto diversa dall'esperienza solitaria umana precedente. È un prolungamento di noi che ci mette in connessione costante con il sapere e la storia umana, ci rende persone diverse. Sono aspetti che analizzo in modo molto modesto, che andrebbero approfonditi molto di più.
Oltre a questo aspetto del rapporto che abbiamo con la tecnologia, è molto interessante l'uso narrativo che ne fa. È qualcosa che ha pensato da subito scrivendo?
Scrivendo avevo una visione molto più semplice di come girare questa conversazione. Mi sembrava semplicissimo, invece mi sono reso conto girando della complessità della sintassi, delle procedure e i codici della conversazione. Tutta questa parte del film ha avuto un'evoluzione. Per esempio scrivendo i dialoghi non avevo considerato che riprendendo il telefono restavano su schermo le frasi precedenti, che quindi tornavano sempre, in modo anche ossessivo.
Questo realismo ci permette di immedesimarci ancora di più con la protagonista, perché è quello che facciamo tutti i giorni con le modalità che siamo abituati ad usare...
Sì, esatto, c'era tutta una drammaturgia specifica dei messaggi da poter utilizzare che mi ha affascinato realizzando quelle sequenze... ma non lo farò più in futuro, perché è troppo complesso!
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Il mondo del soprannaturale
Lei crede nel soprannaturale?
Quando si parla del soprannaturale, si parla dell'inconscio, dell'immaginazione. Non so se credo nel soprannaturale, ma sicuramente credo nell'inconscio, nella realtà della nostra immaginazione. Penso che quello che accade dentro di noi è più reale di quello col quale ci confrontiamo ogni giorno. Nel film avevo bisogno di mostrare gli spettri perché avevo bisogno di far capire che la storia accade in un mondo in cui esistono delle porte, in cui c'è una circolazione tra il visibile e l'invisibile.
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Se avesse avuto più mezzi a disposizione, avrebbe fatto effetti visivi diversi?
Non volevo degli effetti speciali troppo sofisticati, non è quello che cercavo. Volevo che avessero una tessitura non digitale, che richiamassero la fotografia spiritualista che si faceva all'inizio del ventesimo secolo, quelle foto fatte dai medium per sovraesposizioni. Mi interessava utilizzare quel tipo di immagini che rappresentano quello che i medium dichiarano di vedere, che richiamano le loro esperienze delle sedute. Quello che si vede nel film corrisponde a questo tipo di tradizione, ho provato ad essere quasi documentaristico in tal senso.
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Il futuro di Olivier Assayas
Per il futuro a quali progetti lavorerà? Il prossimo progetto è quello con Polanski?
Il prossimo film è quello diretto da Roman Polanski, che è finito. L'ho scritto l'estate scorsa, adattando un romanzo basato su una storia vera, e lui ha girato in inverno, ora è al montaggio. Un lavoro molto interessante perché sono un ammiratore di Polanski. Idol's Eye, invece, il thriller che avrei dovuto realizzare, non so ancora se si concretizzerà. C'è poi un altro thriller, un'altra storia, vera, che è Wasp Network che è in cantiere ed al quale vorrei lavorare.
Una curiosità: ma a lei Twilight piaceva, visto che ha lavorato con la Stewart e vorrebbe lavorare con Pattinson?
È una storia un po' più complessa, perché il mio produttore era un co-produttore di On the Road di Salles in cui ha lavorato la Stewart. Così ha conosciuto Robert Pattinson che era con Kristen. Tornato a Parigi, mi ha parlato di loro e mi ha detto che avrebbero voluto fare qualcosa di diverso. In quel periodo avevo iniziato a lavorare ad Idol's Eye e c'era una parte adatta a Pattinson quindi sono andato a trovarlo a Londra ed ho incontrato entrambi, trovandomi bene con loro. Quindi è tramite Pattinson che ho conosciuto Kristen, ma poi ho fatto due film con lei ed ancora nessuno con lui.