23 luglio 2020: il sottoscritto entra nel Capitol, multisala nei pressi della stazione di Zurigo, per vedere The Vigil - Non ti lascerà andare, su consiglio di un amico che lo ha visto al Festival di Toronto nel settembre del 2019. È la prima vera nuova uscita da mesi, tolte le anteprime stampa e i titoli che sono arrivati, talvolta in sordina, nelle sale europee dopo essere usciti on demand negli Stati Uniti. Come da regolamento in tutti i cinema elvetici, per chi si procura i biglietti in loco c'è l'obbligo di fornire i propri dati personali, o tramite un'app o scrivendo il numero di telefono su un apposito foglietto. Chiedo di poter compilare quest'ultimo, e mi rispondono: "Non ce n'è bisogno, il film inizia fra meno di un minuto e sei l'unico qui." Non per quel lungometraggio specifico, l'unico in tutto il cinema, in quella fascia oraria precisa. Cosa di per sé poco sorprendente, perché da un lato è un giovedì pomeriggio, mentre molti sono al lavoro, e dall'altro, nonostante la cultura della lingua originale in Svizzera, gli horror tendono ad avere maggiore fortuna nella versione doppiata. E in questo caso specifico, per certi versi, le condizioni ideali per vedere quello che effettivamente è l'horror perfetto per quest'anno così insolito, non solo sul piano cinematografico.
Solo in casa
Come sa chi ha visto il film, o anche solo il trailer, The Vigil - Non ti lascerà andare è la storia di Yakov Ronen, ingaggiato per la veglia funebre di un defunto appartenente alla comunità ortodossa ebraica da cui lui è da poco uscito. Nel corso della notte viene perseguitato da un'entità demoniaca chiamata mazzik, che si nutre dei sensi di colpa e ha la testa che guarda sempre indietro. E per gran parte del film Yakov è solo, in una stanza, e i suoi contatti con il mondo esterno sono esclusivamente telefonici o digitali (con lo psichiatra e una ragazza che ha conosciuto poco prima di accettare il lugubre incarico). Una situazione in cui molti di noi possono riconoscersi, poiché da marzo è diventata una realtà quotidiana in gran parte del mondo e lo è tuttora in determinati paesi, mentre altrove si sta lentamente cercando di tornare a una sorta di normalità.
Sono stati mesi in cui tutti avevamo il timore di uscire di casa, spaventati da una minaccia invisibile particolarmente insidiosa. Timore che nel film si manifesta fisicamente, come lascia intendere il sottotitolo italiano: è tecnicamente possibile abbandonare l'abitazione dei coniugi Litvak, dove il mazzik è stato un terzo incomodo per decenni (ha cominciato a tormentare Litvak durante la Seconda Guerra Mondiale), ma dopo pochi metri diventa obbligatorio tornarci, pena un dolore inimmaginabile. E questo proprio mentre Yakov, già segnato da una tragedia che lo ha spinto a rinunciare al passato, sta cercando di adattarsi a una sorta di new normal, espressione che sta circolando da un po' per parlare di come saranno le nostre vite in un futuro - si spera - prossimo.
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L'attualità che fa paura
Come molti horror americani recenti, il film di Keith Thomas è prodotto - in parte - da Blumhouse, che ha fatto arrivare nelle sale - ma non in Italia, causa chiusura delle stesse - altri due film che riflettono più esplicitamente temi d'attualità: L'uomo invisibile, dove si parla di mascolinità tossica e del fenomeno del gaslighting, e The Hunt, che è invece una satira sul conflitto tra democratici e repubblicani nell'America di Trump. Eppure il lavoro di Thomas, proprio per il fatto di non essere apertamente basato su ciò che sta accadendo ora, è quello che risulta più inquietante, perché in questo caso è il mondo che ha involontariamente replicato parte dello scenario visto sullo schermo: l'invito a non uscire di casa, la tecnologia come forma di contatto con amici e parenti, il nemico che non si vede. E il dubbio lancinante, che nel film è appena suggerito ma comunque facilmente intuibile: ci libereremo mai veramente di questa presenza potenzialmente letale? Un dubbio che alimenta la tensione di un buon prodotto di genere, da gustarsi nel buio della sala. Non per forza soli, ma in questo caso, per vari motivi, è un valore aggiunto.