Recensione L'Autre (2008)

Esplode finalmente il cinema, che con L'autre, in concorso a Venezia 65, regala alcune tra le immagini e le suggestioni più potenti vissute quest'anno in Mostra.

Per trovarmi mi darò una martellata

Tratto dal romanzo L'occupation di Annie Ernaux, L'autre è un viaggio visionario e allucinato nelle ossessioni di una donna vittima di un caos emotivo che non da tregua e disintegra. Dopo aver lasciato un ragazzo estremamente più giovane, diventa preda di crisi e paranoie frastornanti alla notizia che l'uomo sta uscendo con un'altra donna, anche lei matura. Il tema sembrerebbe assolutamente banale, ma ciò che rende grande quest'opera, diretta a quattro mani da Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic è la sua elegante messa in scena, che rifinisce essa stessa il senso della storia, assicurandole un clima magnetico che avvicina poco a poco al delirio della protagonista. Le immagini prendono il sopravvento, conquistando da subito il nostro interesse, si frantumano come la mente della donna, ma sono legate insieme da mani sapienti che sanno come manipolare gli stati d'animo in ballo stimolati da questa discesa discreta nella follia.

La protagonista ha sempre una barriera tra sé e il mondo altro. Che sia la finestra di casa sua, la vetrina di un negozio o i finestrini di uno dei tanti mezzi di trasporto che prende durante il film, ogni volta sembra rimanere a una distanza incolmabile dall'esterno. E nella profonda solitudine in cui si infila volontariamente, anche la sua persona sembra schivarla, la personalità si sdoppia e nello specchio la sua immagine riflessa non risponde ai propri movimenti. Tutto si fa sfuggente, la lucidità crolla e le certezze smettono di funzionare, spazzate via dal disordine della mente. I due registi maneggiano la materia con grande raffinatezza, rischiano di passare per snob, ma forniscono una prova registica davvero esaltante. La rivale della donna resta sempre fuori campo, esiste solo perché ci viene detto, ma non si vede mai e mai la vede la protagonista che però la ritrova continuamente nei suoi incubi, in cui sogna di ucciderla. L'altra diventa un'ossessione: non solo chi ora l'ha sostituita, ma anche se stessa, avviata verso nuovi orizzonti.

Esplode finalmente il cinema, che con L'autre, in concorso a Venezia 65, regala alcune tra le immagini e le suggestioni più potenti vissute quest'anno in Mostra. A partire dall'eccellente incipit che tira fuori brividi di poesia addirittura dai fari delle auto in viaggio di notte su un'autostrada. Il lavoro alla regia dei due cineasti francesi, lo ripetiamo, è stupefacente, l'eleganza formale che fa dialogare e scontrare la protagonista con ciò che la circonda è fredda eppure ipnotica ed entusiasmante. Quando l'inquadratura cattura l'intera città e le sue mille luci si fa solenne, mentre quando si insinua tra i personaggi diventa incerta, tremolante, indecisa tra zoom in e out, rivelando tutta la difficoltà nell'entrare fino in fondo nella confusione della donna. Dominique Blanc sembra una Bette Davis insieme più discreta e più eccessiva, donna con occhi spalancati ben oltre la crisi di nervi, che per fermare la sua immagine sfuggente prende a martellate il suo riflesso nello specchio prima e la sua stessa testa poi, per ritrovarsi. Eccellente il lavoro sul suono messo a punto da Patrick Mario Bernard che coglie la città nel suo confuso vociare e nel groviglio di rumori che la animano, accompagnando questo viaggio nel delirio con una musica affascinante che delimita anche lo spazio mentale della protagonista. Un meraviglioso delirio.