Per amore del mio popolo: Alessandro Preziosi racconta don Diana

Nella cornice della Camera dei Deputati Alessandro Preziosi e il cast della miniserie Per amore del mio popolo - Don Diana ricorda il sacerdote anticamorra a 20 anni dalla tragica scomparsa. Il giorno dell'anniversario Rai Uno manderà in onda la seconda puntata della fiction.

Personaggi che lasciano il segno diventano ruoli giganti nella carriera di un artista. È appena successo ad Alessandro Preziosi, che nella miniserie Per amore del mio popolo - Don Diana dà il volto al giovane sacerdote anticamorra che ha perso la vita venti anni fa, ucciso dalla mafia. La fiction, in onda su Rai Uno il 18 e il 19 marzo in prima serata, è stata presentata in anteprima alla stampa e ad alcune scolaresche della Capitale alla Camera dei Deputati dal cast alla presenza di Rosy Bindi (Presidente della Commissione Antimafia), di Anna Maria Tarantola (Presidente della Rai), Raffaele Cantone (Consigliere della Corte di Cassazione), Don Tonino Palmese, Eleonora Andreatta (Direttore di Rai Fiction), Giancarlo Leone (Direttore di Rai Uno) del regista Antonio Frazzi e del produttore di Aurora Film Giannandrea Pecorelli.
Alessandro Preziosi indossa l'abito talare di Don Beppe con semplicità per non dimenticare il suo sacrificio che, proprio nel giorno del suo onomastico del 1994, ha perso la vita e al tempo stesso per rispecchiarne lo spirito schietto. La storia del prete è rimasta avvolta a lungo in un cono d'ombra, ma rivive in una fiction dal forte messaggio educativo, supportato dalle istituzioni per non lasciare che questo esempio finisca nel dimenticatoio. Nel frattempo l'attore ha un'agenda fittissima e debutta al Teatro Vascello di Roma come regista in Cyrano sulla luna (dal 18 al 27 marzo).

Qual è stata la sfida maggiore nell'interpretare Don Beppe?
 Alessandro Preziosi: Interpretare un ruolo del genere ti dice che un cambiamento è possibile. E lo dico da napoletano, perché faccio parte del tessuto sociale che viene mostrato. La complessità di questo percorso l'ho vissuta emotivamente e per questo mi viene persino difficile parlarne.

Che atmosfera respirava sul set?
Alessandro Preziosi: Per me è la seconda volta che lavoro con Antonio Frazzi, ma non mi basta, è stato con me come un fratello. Ho lavorato con tanti fuoriclasse, compreso uno che non sa di esserlo, Vincenzo Pennarella. Meritano un applauso!

Qual è il grande merito di questa fiction?
 Alessandro Preziosi: Questa fiction invita davvero il meglio ad avere il sopravvento sul peggio così come quelle sui giudici Giovanni Falconi e Paolo Borsellino, che propongono modelli eccezionali. In realtà basterebbe considerarli normali per rendere più doveroso il nostro senso civico.

Prima ha reso omaggio al cast. A chi altro va il suo grazie?
 Alessandro Preziosi: Da Napoletano non parlo spesso a casa, ma ringrazio mamma e papà per lo sguardo pulito che mi hanno insegnato ad avere.

Quanta pressione si sente a dirigere una fiction del genere?
 Antonio Frazzi: Una responsabilità talmente grande da sentirsi quasi sommerso. È una fiction che fa domande ed esige risposte. Ne ho sentito l'esigenza non solo come professionista ma come uomo. Volevo rispettare il messaggio di Don Beppe raccontandolo con semplicità, altrimenti avremmo corso il rischio di essere ridondanti, l'opposto di quello che era lui.

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QUESTION]Un progetto come questo ha preso il via dopo molti anni. Perché ora?[/QUESTION]
Giannadrea Pecorelli: I tempi sono cambiati e ora sono giusti, ma non abbiamo raccontato una biografia che volesse dipingere un santino, piuttosto una storia di uomini che hanno lottato ogni giorno.
Giancarlo Leone: Questo è uno dei fiori più preziosi della Rai di quest'anno e raramente ho visto una miniserie realizzata con tanta attenzione e misura. Raccontare temi di violenza, infatti, rischia di cadere nello stereotipo o nella macchietta invece questa è un'operazione di cui siamo orgogliosi.

Perché? 
Eleonora Andreatta: Questa fiction rispecchia la linea editoria della Rai in questo periodo per il tipo di tema che racconta, un filo comune a molte produzioni che parlano di scelte individuali e di coraggio, valori che si contrappongono alla malavita.

Come prende vita?
 Eleonora Andreatta: Questa è la storia di un uomo che decide di restare in una terra che in quegli anni vedeva l'assenza dello Stato. Richiama alla responsabilità i giovani che non sono predestinati e parla dell'importanza della comunicazione. Innanzitutto con la sua omelia della notte di Natale e poi portando il televisore in chiesa perché i fedeli ascoltassero l'omelia di Giovani Paolo II sulla mafia, dopo l'omicidio di don Puglisi.

La fiction ha quindi un valore educativo?
 Anna Maria Tarantola: La bellezza dell'esempio è una forma di educazione forte nella normalità di questi eroi-non eroi che non hanno intorno grandi fanfare. L'educazione è una forma di prevenzione per formare le coscienze ad una cultura della legalità. Le fiction sono un modo di fare buona comunicazione e don Diana con la sua omelia ha aperto una breccia enorme. La Rai deve proporre modelli positivi e, unita alle istituzioni, può fare molto.

Ecco perché la Camera dei Deputati ha ospitato l'anteprima... Rosy Bindi: Credo che la fiction abbia fatto la sua parte per capire meglio lo straordinario messaggio che don Diana rappresenta per tutti noi, un bell'esempio di cultura e coscienza civile nel servizio pubblico. Le mafie hanno paura di chi sa indicare ai cittadini che esiste una risposta diversa ai loro bisogni, di chi non volta le spalle e a viso aperto le chiama per nome e indica la strada per combatterle.
Raffaele Cantone: La fiction mi ha lasciato un senso di profonda emozione restituendo un'immagine vera del sacerdote anticamorra. Quando andrà in onda molti ragazzi lo assoceranno al sorriso di Alessandro Preziosi. A lungo nelle sue terre infatti si faceva fatica a ricordarlo come martire, ma a Casal Di Principe si fa fatica ancora a dire certe parole...