I colori, le donne, le crisi di nervi e la pelle di Pedro Almodóvar - quest'anno a Venezia 2019 per ritirare il Leone d'Oro alla Carriera - hanno reso più ricco, bello e malinconico il cinema mondiale: in quasi 40 anni, il suo occhio non ha solo raccontato i cambiamenti avvenuti nella società spagnola, ma ha mostrato in modo universale che esistono modi diversi di amare, di sentire, di vivere.
Dopo aver presentato in concorso Dolor y gloria, forse il suo film più personale, in cui Antonio Banderas, premiato come migliore attore a Cannes, interpreta una versione romanzata del regista e mentore, Pedro Almodóvar è stato premiato, alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, con il Leone D'Oro alla carriera, a coronamento di un anno speciale, che si spera possa continuare con delle nomination ai prossimi Oscar.
Il direttore artistico di Venezia, Alberto Barbera, ha presentato così il regista spagnolo alla conferenza di premiazione: "Almodóvar non è solo il più grande e influente regista spagnolo dopo Buñuel, ma l'autore che è stato in grado di offrire il ritratto più articolato, controverso e provocatorio della Spagna post-franchista. I temi della trasgressione, del desiderio e dell'identità sono il terreno d'elezione dei suoi lavori, intrisi di corrosivo umorismo e ammantati di uno splendore visivo che conferisce inediti bagliori dell'estetica camp e della pop-art, a cui si rifà esplicitamente. Il mal d'amore, lo struggimento dell'abbandono, l'incoerenza del desiderio e le lacerazioni della depressione confluiscono in film a cavallo fra il melodramma e la sua parodia, attingendo a vertici di autenticità emotiva che ne riscattano gli eventuali eccessi formali. Senza dimenticare che Almodóvar eccelle soprattutto nel dipingere ritratti femminili incredibilmente originali, in virtù della rara empatia che gli consente di rappresentarne la forza, la ricchezza emotiva e le inevitabili debolezze con un'autenticità rara e toccante".
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Il ringraziamento di Pedro Almodóvar per il Leone D'Oro alla carriera
Commosso e sorridente, il regista spagnolo ha ringraziato così per il premio ricevuto: "In Italia mi sento sempre a casa: abbiamo un senso dell'umorismo simile, difetti simili, le nostre lingue e le nostre culture si assomigliano e tutti amiamo e difendiamo il cinema d'autore. Essere qui adesso è come trovarmi a casa, immensamente grato per questo Leone inaspettato, che mi colloca in un gruppo del quale, senza falsa modestia, non so se merito di far parte: Buñuel, Antonioni, Kieslowski, Pontecorvo, Rossellini, Dreyer e la lista sarebbe ancora molto lunga. Da questo olimpo pieno di leoni ringrazio con tutto il cuore per il Leone a tutta la mia carriera che oggi ricevo."
"Con pudore, dico che dolore e gloria riassumono quello che provo: non voglio lamentarmi del dolore, né mi piace vantarmi della gloria. Questo Leone d'Oro è un premio importantissimo. Qui a Venezia sono nato come regista, questa è un'emozione speciale. Se si vive abbastanza a lungo, il tempo diventa un elemento importante nella considerazione di ciò che ci accade. Nel '88, quando ho presentato il film qui, il presidente di giuria era Sergio Leone, e con lui c'era anche Lina Wertmüller. Li ho incontrati per strada, in giro, e mi dissero quanto era importante per loro vedere film come il mio alla Mostra di Venezia. Mi piace considerare questo Leone come un segno di giustizia, poetica e politica, dopo 31 anni da quell'incontro."
Pedro Almodóvar e l'Italia: una lunga storia d'amore
Il Leone D'Oro alla carriera è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia d'amore con l'Italia, nata proprio alla Mostra del Cinema di Venezia, dove, nel 1983, portò il film L'indiscreto fascino del peccato, come ha raccontato lo stesso regista: "All'epoca della mia prima volta a Venezia, il direttore era Gianluigi Rondi e al governo c'era la Democrazia Cristiana. Il mio film era L'indiscreto fascino del peccato ed era stato considerato troppo osceno, ma la stampa ne parlò così tanto che fu impossibile toglierlo dalla selezione. Questo generò grande empatia: ho quindi un buon ricordo del mio primo Festival."
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Nel 1988 il secondo sbarco in laguna con Donne sull'orlo di una crisi di nervi: "Ricordo la mia seconda volta a Venezia come una festa. Ricordo le attrici, i colori dei loro vestiti, la loro varietà e l'immagine così vitale che davano della Spagna di allora. Quell'anno abbiamo vinto il premio alla migliore sceneggiatura."
Pedro Almodóvar, il regista simbolo della diversità
In pochi sanno raccontare, come Almodóvar, la diversità: le sue donne spesso maltrattate, dimenticate e costrette a resistere nonostante tutto e tutti, sono diventate il cuore della sua filmografia, così come gli amori, a volte tormentati e visti con sospetto, tra persone dello stesso sesso, il complicato rapporto tra genitori e figli, e la difficoltà del vivere in un corpo che non corrisponde all'immagine che si ha di se stessi.
Il regista è consapevole dell'importanza che ha avuto il suo lavoro nella rappresentazione e nella narrazione della diversità al cinema: "Quando ho iniziato a fare il regista, non si parlava affatto di diversità. Gli anni '80, in Spagna, hanno celebrato la fine di una dittatura di 40 anni: allora la cosa davvero importante per la popolazione era aver finalmente perso la paura e poter godere di una libertà mai vista prima. Fare il regista mi ha dato la possibilità di imporre la varietà della vita che vedevo intorno a me: i miei personaggi stravaganti rappresentavano la vita e tutti gli orientamenti sessuali. Come artista il mio potere è quello di dare libertà morale ai miei personaggi. Quando ho cominciato, la cosa che più mi affascinava era proprio questo cambiamento, che ho visto e assorbito dalle strade, dalle infinite notti di Madrid. Io mi sono formato in questa università e l'ho raccontata, in un tempo in cui la democrazia in Spagna era reale."