Paul Verhoeven torna in competizione a Cannes dopo il thriller Basic Instinct del 1992 e anche stavolta lo fa con Elle un film che vede per protagonista una donna misteriosa, di grande impatto, che rifiuta di diventare vittima di una tragedia personale e sovverte le aspettative del codice sociale in maniera imprevedibile. La trama racconta la storia di Michèle, una strepitosa Isabelle Huppert, CEO di un'importante compagnia di sviluppo di video game. Michèle subisce la più repellente delle violazioni fisiche, emotive e mentali proprio in casa sua, quando viene aggredita sessualmente da un uomo mascherato. Dopo l'accaduto, la donna, che gestisce tutte le sfaccettature della sua vita in maniera razionale e distaccata, rifiuta di reagire secondo quanto ci si aspetterebbe, parlare dell'accaduto, sfogarsi, o andare dalla polizia ("che sarebbe come una doppia punizione" dice l'attrice) e decide di rintracciare il suo assalitore per coinvolgerlo in un curioso gioco di rimpiattino che rimane sulla lama del rasoio fino all'ultimo momento.
La conferenza stampa di questa 69esima edizione di Cannes, vede ospiti il regista, la già citata protagonista, l'autore del romanzo di partenza Philippe Djian, lo sceneggiatore David Birke, i produttori Saïd Ben Saïd e Michel Merkt, Virginie Efira, Charles Berling, Jonas Bloquet, Laurent Lafitte. Gli attori hanno subito aperto la discussione esprimendo quanto sia stato amabile lavorare con Verhoeven "credo che una delle sue più grandi qualità sia che non cerca di darti delle spiegazioni su come vuole che tu interpreti la scena. Se fai qualcosa che non va allora viene da te e lo dice senza mezzi termini. Rende le cose molto più semplici, non devi spiegare, soltanto agire, recitare, reagire a quello che succede in scena" dice Isabelle. "Paul non dirige granchè in effetti, se gli chiedi delucidazioni su come vuole che tu interpreti qualcosa ti risponde ' non lo so! Sei tu l'attore!' e quando c'è qualcosa che non va, invece di parlarti per un'ora senza arrivare a nulla è molto diretto e ti dice cosa non gli è piaciuto" ha aggiunto Bloquet, che in conclusione ha detto "è stato un grande piacere lavorare con tutti quelli seduti a questo tavolo, l'atmosfera sul set era molto serena... lo script è molto ironico, molto potente, crea molte interazioni differenti tra i molteplici personaggi".
Libertà di agire fuori dagli schemi
Ritornando sulle motivazioni del suo personaggio, Isabelle parla di come le sue reazioni siano imprevedibili, fuori dai codici imposti dalla società "è il ritratto pieno di suspance di una donna misteriosa che non reagisce in maniera prevedibile, in linea con i codici della società. Rifiuta di essere una vittima, invece di essere l'oggetto di quello che è accaduta diventa il soggetto, riafferma il controllo di se', cerca di capire cosa fare e reagisce senza magari sapere cosa sta facendo esattamente, ma è così che succede, bisogna confrontarsi con ciò che ti appare di fronte, talvolta senza trovare necessariamente la soluzione, semplicemente andando avanti". L'autore del romanzo ha continuando dicendo "ho cercato di capire cosa voleva il personaggio, e ci tengo a sottolineare che lei non si innamora del suo stupratore, assolutamente. Tenta di liberarsi da quello che le è accaduto, di prendere in mano il controllo della situazione. E' una donna molto libera, non si sottomette alle regole sociali".
Sia Djian che la Huppert hanno poi specificato che il film non è una sorta di affermazione generica sull'argomento "non stiamo dicendo che le donne aggredite dovrebbero comportarsi o sentirsi così, non è una rappresentazione di quello che accade nella vita reale, è più che altro una narrazione di quello che potrebbe essere, un racconto di fantasia, apre la porta su dei pensieri segreti qualcosa che potresti confessare solo a te stessa, non è un'affermazione sulle donne vittima di stupro".
Non sono uno psicologo
In un film del genere si nota certamente l'aspetto psicologico dei protagonisti, ma a quanto pare né l'autore del romanzo, né il regista hanno fatto il benché minimo sforzo per rappresentare questa sfaccettatura nei loro personaggi "non credo alla psicologia, non sono uno psicologo né uno psichiatra, non cerco di costruire ritratti psicologici dei miei personaggi, ci sono elementi che puntano in quella direzione sia nel film che nel romanzo, ma è accidentale. Non amo le spiegazioni freudiane, o altro, lascio che il pubblico riempia i vuoti. Questo film è stato molto diverso, innovativo per me e molto interessante" ha detto Verhoeven "rispetto ai miei lavori precedenti. Non c'è un evoluzione del personaggio, non c'è una morale finale così come accade nei film americani. Penso che le persone non cambino, non c'è questa evoluzione, siamo sempre gli stessi 24 ore al giorno. Lei è la stessa dall'inizio del film e rimane la stessa. Non ci sono trasformazioni, soltanto eventi che accadono e a cui tu reagisci".
Parigi e la Francia mi hanno donato Isabelle
Questa è la prima pellicola che Verhoeven ha girato con un'intera crew francese e il regista era talmente preoccupato dalla possibile mancanza di comunicazione che prima di iniziare le riprese ha rispolverato a fondo il suo francese onde evitare problemi durante il corso della produzione. "E' molto americano e molto europeo allo stesso tempo, cosa tipica di Paul" ha detto Isabelle "c'è suspence, mistero, ironia, che è tipica del cinema francese, Paul ha imparato nuovamente il francese per poter parlare con noi, una cosa straordinaria. Si è avvicinato a noi come cultura, lo puoi vedere dall'enorme focus che ha puntato sul linguaggio; abbiamo sentito un profondo amore per questo progetto dall'inizio alla fine. Nonostante la sua incredibile carriera, Paul rimane un maestro artigiano del cinema, fa sentire gli attori molto responsabili, è pieno di energia e quando hai una mente così curiosa rimani giovane per sempre". Il regista ha effettivamente ammesso che all'inizio, durante la pre-produzione si era pensato di girarlo negli States, ma "il romanzo è francese, Isabelle è francese e quindi abbiamo deciso di cambiare location. Parigi e la Francia mi hanno donato Isabelle".
Sulla sua passione per Stravinski, il regista ha ammesso che il compositore russo gli ha insegnato l'arte della semplicità, struttura, brevità "mi ha insegnato ad andare dritto al punto, senza perdermi in chiacchiere, non ci sono note superflue nelle sue opere, è molto preciso e ho sempre ammirato questo aspetto. Quando giro un film cerco di guardare gli attori e lo script allo stesso modo, in modo da stabilire un ritmo specifico, voglio che ci sia movimento nelle scene, che il film vada avanti con l'azione, e penso che Stravinski faccia questo per me, mi da' la possibilità di vedere la struttura di uno script". Per quanto riguarda futuri progetti USA o un ritorno al cinema sci-fi, Verhoeven si dice incerto "se ci sono buoni copioni... ma per il momento non ne ho visti, oppure quelli buoni sono stati già fatti. Non faccio film per i soldi, ma perchè voglio raccontare una storia che mi piace. Tutti questi film di supereroi... penso che abbiamo perso il contatto con la gente normale, si è già visto tutto e si è già fatto tutto". Non è della stessa opinione Djian che è convinto del contrario "c'è ancora tanto da fare e dire, specie se si sovverte il genere che si sta illustrando, proprio come ha fatto tante volte Paul in passato".