Paternal Leave è un film di scoperte, di consapevolezze scoperchiate, di un paesaggio arrabbiato e mutevole, tanto nei colori quanto, addirittura, negli odori. In qualche modo, le scoperte partono dallo sguardo della regista, Alissa Jung, qui al debutto dietro la macchina da presa.

Al suo interno sembrano abitare due anime, che rispecchiano le due produzioni dietro il titolo: un certo rigore formale di matrice tedesca si intreccia, in maniera più intima e sussurrata, con un calore tipicamente italiano, esplicitato in un abbraccio dal forte valore simbolico (dietro il titolo, infatti, troviamo Match Factory Productions GmbH e Wildside). Un film schivo, dalle sensazioni crude e ossute. La sceneggiatura di Paternal Leave, firmata dallo stessa Jung, rilegge la legittimazione dello sbaglio seguendo un percorso narrativo definito attraverso gli sguardi più che le parole.
Paternal Leave: mare d'inverno e padri ritrovati
Per certi versi, Paternal Leave, presentato al Festival di Berlino, è un road-movie disfunzionale, al contrario, che guarda in avanti partendo dal trapassato: quando la protagonista, Leo (Juli Grabenhenrich, esordiente), ragazzina tedesca, scopre di aver un papà italiano non perde tempo, fa il sacco, e sale sul primo treno. Direzione, il litorale romagnolo, Marina Romea, vicino Ravenna. Una riviera quasi neutra, aliena, aspra.

Non quella delle discoteche e delle notti brave, ma quella livida di un mare d'inverno che porta con sé una risacca carica di rimorsi e rimpianti. Un immaginario decisamente caro al cinema dell'effetto, basti pensare al capolavoro Rimini di Ulrich Seidl. Leo, arrivata in Italia, incontra suo papà Paolo (Luca Marinelli), spiazzato e turbato da un ritorno inatteso. Tra i due si erge una distanza siderale, acutizzata dalla paura silenziosa di un padre che, nel frattempo, ha costruito una nuova vita e ha una figlia piccola, Emilia.
L'importanza degli sbagli
La traccia di un errore, consequenziale al timore di non essere all'altezza, oppure di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. Alissa Jung osserva la propria storia seguendo la traccia dei due protagonisti, accavallando quel contesto geografico e umano tale da rendere il film lo specchio riflesso di un percorso che alterna maturità e immaturità. C'è la riflessione narrativa e visiva da parte di Paternal Leave nell'accompagnare l'incastro tra Marinelli e Granbenhenrich (bravi, ma si sapeva), rivisto dalla regista puntando al cinema degli elementi: la musica di Dascha Dauenhauer (allegando una buona soundtrack, con tanto di cover finale cantata dall'attore di un brano di Giorgio Poi), la fotografia desaturata di Carolina Steinbrecher, e la scenografia malinconica di Cristina Bartoletti.

Un'unione di intenti che - attraverso diverse metafore, più o meno palesi, e a volte troppo insistenti - prova a raccontare una relazione padre-e-figlia partendo dalla lontananza di una relazione da costruire, illuminando il concetto di responsabilità emotiva. Come a dire: sono gli errori a renderci umani, e solo la comprensione di essi può portare a crescere. Certamente, Paternal Leave, oltre a dimostrare un talento acerbo ma promettente di Alissa Jung (il cinema ha sempre più bisogno di voci nuove e autentiche), aggiunge forse poco a un immaginario desolato e malinconico che ritrova una pennellata di colore metaforico solo nel finale, suggerendo una simbolica risoluzione.
Tuttavia, il film possiede un'autenticità del reale che lo rende, se non del tutto originale (ma cosa significa, oggi, "originalità"?), quantomeno alquanto bilanciato. Proprio come quei fenicotteri equilibristi che, con la loro apparizione (quasi fossero una sorta di guida, per tornare alle allegorie), accendono di un rosa vibrante gli occhi di una figlia finalmente ritrovata.
Conclusioni
Un'opera prima che esplora le consapevolezze ritrovate di una scoperta emotiva attraverso lo sguardo sensibile della regista esordiente Alissa Jung. Paternal Leave intreccia un rigore formale con un calore più intimo, attraversando la legittimazione dell'errore per mezzo degli sguardi, dei silenzi del cinema legato ai suoi elementi fondanti. Il film riflette sul concetto di responsabilità emotiva, oltre al senso stesso di paternità.
Perché ci piace
- La bravura di Marinelli e di Granbenhenrich.
- Il paesaggio.
- Il finale.
- Alcune metafore azzeccate...
Cosa non va
- ...ma forse ce ne sono un po' troppe.
- A tratti può risultare acerbo (ricordiamo però sia un'opera prima!)