Paradise, la serie tv arrivata a inizio anno in streaming su Disney+, ha confermato che quella composta da Dan Fogelman e Sterling K. Brown è un'accoppiata vincente. Una partnership, quella fra il creatore di This is us e uno dei protagonisti della serie, nata proprio sul set di quella storica produzione e che poi si è evoluta in vera e propria amicizia. E non a caso, quando Fogelman ha iniziato a buttare giù le idee per la poc'anzi citata Paradise, aveva già in mente Sterling K. Brown come interprete dell'agente dei Servizi Segreti Xavier Collins. Il personaggio intorno al quale ruota questa storia post-apocalittica che mischia insieme un quantitativo tale d'ingredienti che il rischio della debacle più totale si affacciava con forza in ogni puntata.

Già perché se, in termini generali, questa produzione gioca con tematiche di amore e perdita trattate in una maniera emotivamente devastante che è lecito attendersi da chi ha ideato This is us, lo fa utilizzando uno scenario alquanto grandeur alle sue spalle. C'è la distopia di un mondo al collasso in cui poco più di ventimila persone vengono scelte per andare a vivere all'interno di un gigantesco bunker ultratecnologico realizzato sotto a una montagna del Colorado. Un bunker tecnologicamente avanzatissimo che riproduce l'estetica di una classica cittadina statunitense che pare un mix fra Stars Hollow e Wysteria Lane in cui dei sofisticatissimi led riescono persino a riprodurre l'alternanza del giorno e della notte.
C'è la gente comune che viene tenuta all'oscuro di ciò che accade dai "poteri forti". È come se This is us venisse incrociato con X-Files per certi versi. E c'è però la tipica frase - "tutto andava per il verso giusto fino al giorno in cui" - che nel caso di Paradise prosegue con "il Presidente Cal Bradford (James Marsden) viene ritrovato morto nella sua villa". La risposta alla domanda "Chi l'ha ucciso?" dà inizio a una vicenda capace di analizzare con puntualità certosina le storie di tutti i personaggi che la popolano, mettendo quasi in secondo piano l'elemento del whodunnit.
Una serie che alza l'asticella
Sappiamo già che in programma c'è una seconda stagione. La produzione è partita a fine marzo, poco dopo un finale di stagione che, come dicono gli anglosassoni, ha alzato l'asticella della posta in gioco. Una posta in gioco dove, a crollare, è il castello di bugie raccontate dall'establishment di Paradise ai suoi abitanti. Solo che, come da tradizione, il crollo di un castello non fa altro che rivelare come, dietro di esso, ce ne fossero altri 10 o 100 o 1000. Non sappiamo ancora di preciso cosa verrà scoperto da Xavier Collins fuori dal bunker, ma le aspettative di chi ha visto e adorato Paradise sono alte.

Una cosa però la sappiamo: che Paradise non andrà avanti per più di tre stagioni. Perché è così che l'ha pensata Fogelman. Uno scrittore che, quando lavora a qualcosa, ha già in testa molto precisamente l'estensione che un dato racconto richiede. Era così con This Is Us ed è così con Paradise. Ed è proprio questo il bello del lavorare con lui, come ha spiegato Sterling K. Brown a Deadline. L'attore, che della serie è anche produttore insieme a Fogelman, dice infatti che: "Per Paradise ha tre stagioni pianificate, e sono sicuro che quando inizieremo a girare la terza, quelli di Disney e Hulu gli chiederanno se sia sicuro della cosa e se non desideri andare avanti. E io so già che Dan risponderà di essere sicuro di questa scelta". Con la sete di contenuti di successo che gli streamer hanno ora, in una congiuntura in cui vogliono, allo stesso tempo, risparmiare il più possibile e puntare sul sicuro, è scontato che qualche alto papavero della casa di Topolino vorrà strizzare il più possibile la tetta di Paradise, ma questa volontà dovrà inevitabilmente andare a cozzare con quella del creatore.
Una volontà che Sterling K. Brown abbraccia in toto: "Anch'io sono piuttosto sicuro che sia la strada giusta, perché è bello fare una serie TV che ha un inizio, uno sviluppo e una fine. Stai sempre lavorando alla costruzione di qualcosa con un piano ben preciso, non stai mai solo riempiendo episodi tanto per fare. C'è una direzione e una progressione, e da attore la senti, pensi: Ok, la storia si sta evolvendo. E quando arriveremo alla fine di questa serie, la gente sarà devastata. Perché quando mi ha raccontato il finale ho pianto. Solo sentendo il pitch". Secondo l'attore, Fogelman ha già in tasca un finale perfetto capace di adempiere all'anelatissimo stick the landing, come descrivono gli americani il riuscire a portare a degno compimento un qualcosa.
Il segreto di una chemistry a tutto tondo
Fiducia professionale e amicizia. La chimica fra Dan Fogelman e Sterling K. Brown può essere riassunta così. Si basa sulla fiducia reciproca. Lo scrittore si fida dell'istinto dell'attore e viceversa. Racconta Fogelman a Deadline che "Immagino che ci siano stati momenti in cui Sterling ha letto le sceneggiature e qualcosa non gli tornava, è inevitabile. Abbiamo fatto così tanta televisione insieme che sicuramente ci sono state scene in cui si è chiesto: "Ma perché sta facendo questa cosa?" Però non mette mai davvero in discussione le scelte che faccio. Trova sempre un modo per entrarci dentro. Si fida del fatto che, anche se magari in quel momento non lo afferra, ho in mente un disegno più ampio". Una dinamica che per lo scrittore va anche nella direzione opposta di quando, in sala di montaggio, rivede le scene girate e scopre delle maniere inaspettate con le quali Brown mette in scena quello che lui ha scritto. Un rapporto che, più che basarsi sulle parole, si basa sulla capacità di dare forma e volto a storie e personaggi grazie all'unione dei loro rispettivi talenti.

Non a caso sia Dan Fogelman che Sterling K. Brown ammettono che questa loro amicizia sia un qualcosa di profondamente atipico per come, normalmente, vivono i rapporti con le persone cin cui collaborano. Fogelman racconta di aver avuto bellissimi rapporti professionali con star del cinema, che poi non ha coltivato in alcun modo "perché per me è sempre tutto stressante: le loro vite sono così grandi che non voglio essere un'altra cosa di cui si devono occupare. Ho avuto bei rapporti, per brevi momenti, con i Ryan Gosling e gli Oscar Isaac di turno, poi le cose svaniscono. Con Sterling invece è diverso... È un piacere quando entra in una stanza. Non che non lo fosse anche con gli altri, ma con lui non è mai stressante. È semplice". Una lettura che Sterling K. Bron abbraccia in toto tanto che, ha detto, in tutti questi anni di lavoro insieme gli ha fatto una sola domanda relativa alla prima stagione di Paradise. Credeva che la svolta folle di Jane, il personaggio interpretato da Nicole Brydon Bloom, fosse un po' essessiva.
L'attore gli domandò se "quella cosa di Jane poteva funzionare perché era completamente fuori di testa.E lui mi rispose che abbiamo bisogno di qualcuno davvero fuori di testa. Al che io gli ho detto che se lui era davvero convinto di questo, mi andava bene. E alla fine Jane... tutti sono finiti per odiarla, ma nel modo migliore possibile". Ora dobbiamo solo scoprire chi, nelle stagioni due e tre di Paradise continueremo a odiare e se, magari, per qualcuno, Sinatra in primis, ci sarà spazio per un po' di sana redenzione. Ma lasceremo che la chemistry del dinamico duo faccia il suo corso e aspetterò con - scarsa - pazienza.