Paolo Calabresi: “Berlinguer? Una classe politica diversa. Oggi vogliono tutti primeggiare”

La gavetta, e poi il set con Elio Germano, i giovani interpreti e quell'idea di debuttare alla regia: la nostra intervista all'attore.

Paolo Calabresi. Foto di Gabriele Colafranceschi

Sigaretta accesa, completo grigio, capello impomatato. Oltre la macchietta, più vicino all'uomo che al personaggio. Se c'è un attore che, più di altri, riesce ad alternare diversi registri, quello è Paolo Calabresi. Basti vederlo in Berlinguer - La grande ambizione di Andrea Segre, dove interpreta Ugo Pecchioli, senatore del PCI nonché punto di riferimento per il Segretario Enrico, nel film interpretato da Elio Germano. "Fare la macchietta di certi personaggi sarebbe terribile", ci dice l'attore, al telefono. "Abbiamo evitato anche l'imitazione. Forse quello che più si avvicina è quello di Elio, ma per il resto nessuno di noi ha cercato di fare un'imitazione".

Paolo Calabresi Foto Film Berlinguer
Paolo Calabresi è Ugo Pecchioli in Berlinguer

E l'abbiamo detto: l'umore attoriale di Calabresi riesce ad essere fluido e polivalente, rispecchiando un uomo e un politico appartenente ad un'altra epoca: "Volevo stare un passo indietro, mostrare un'eleganza anche insolita, propria di quel periodo. Per prepararmi ho parlato con i famigliari di Pecchioli, con sua figlia Laura, che ringrazio. Anche con la famiglia Berlinguer. I loro figli andavano in vacanza insieme. Era uno dei pochi con cui aveva un rapporto extra lavorativo. Più che con i filmati, mi davano riscontro le persone che l'hanno conosciuto, come il suo autista. Mi ha raccontato cose di lui molto belle. Era un tipo molto rispettoso". A proposito di amicizia, oggi nel mondo della politica ci sono ancora rapporti come quello tra Berlinguer e Pecchioli? "Oggi non la riscontro, ma magari c'è. Un amicizia vera, con un'ambizione grande. Quel tipo di amicizia aveva come collante un'ideale forte".

Berlinguer: l'intervista a Paolo Calabresi

Paolo Calabresi Foto Di Gabriele Colafranceschi
Paolo Calabresi. Una foto di Gabriele Colafranceschi

Naturalmente, Berlinguer è un film strettamente politico. Tant'è, che i riverberi arrivano fino alla stretta contemporaneità, in balia di una classe politica, diremmo, decisamente diversa da quella del passato. "Generalizzare è pericoloso e sbagliato, mi sembra però di poter dire che è cambiata l'ottica di cui si prendono certi incarichi. Per un'ideologia probabilmente più bassa, o per convenienza, come spesso accade o, addirittura, per malaffare", spiega Calabresi. "Ciò che manca, è una missione. Per queste persone c'era una missione, al netto dell'appartenenza politica. Poi nel PCI la spinta idealistica era più forte, chiaro. C'era insomma la capacità di dialogo vero, senza voler primeggiare".

Un'importanza storica riflessa poi nel lavoro sul set: "Girando il film ho avuto una sensazione che solo un'altra volta ho provato. Quando ho fatto Diaz. Un gruppo di persone al servizio di un progetto che aveva un senso oltre il film stesso. La conseguenza positiva è che ogni attore non rompeva le scatole, cosa che spesso sul set si verifica (ride ndr.). C'era necessità di fare questo film. I politici di oggi strumentalizzerebbero anche apprezzandolo, ma l'importante è che lo vedano anche i ragazzi, con lo scopo di capire che c'è un altro modo di far politica, essere protagonisti del proprio paese, informandoci di più, senza delegare un potenziale leader".

La classe politica odierna, e la mancanza di futuro

Tornerà, quindi, una dimensione di ascolto tra lo Stato e i cittadini, oppure la classe politica è destinata ad imporsi, sempre e comunque? "In modo masochistico lasciamo fare ciò che vogliono ai politic, per poi criticarli. Ci sentiamo inadatti, manca la spinta, la fiducia nel futuro. Ci siamo fatti togliere la possibilità di fare qualcosa. E questo film lo dimostra".

Allora, un parallelo tra cinema e politica: "Il cinema è un microcosmo all'interno di un paese di un mondo problematico. Ci sono improvvisi rigurgiti di idealismo, però sovrastati dall'andazzo generale. Un fuoco qua e un fuoco là, se si intensifica, magari diventa ardente. Studiando la storia vedi che ci sono dei grandi cicli. Abbiamo avuto la sfiga di capitare sotto personaggi particolari, con un cambiamento tecnologico irreversibile. Non facciamo quasi più nulla, fatichiamo a ricordare i numeri di telefono. La nostra memoria è delegata ad altro e ad altri. Chi è stato più furbo se ne approfitta. Ma le cose cambieranno. Non so quando, e se saremo ancora vivi per assistere ad un ritorno dell'umanesimo".

Una suggestione: il primo film da regista

Con Paolo Calabresi, poi, parliamo della sua attitudine nell'essere attore a tutto tondo, alternando diverse inflessioni: "Chi mi ha insegnato a fare l'attore non era snob. E tutto ciò che ho imparato, l'ho imparato facendo cose brutte. È facile lavorare con i grandi. Diventa difficile quando invece reciti ne Gli occhi del cuore 2, pronunciando battute terribili. Se rendi credibile l'assurdo, poi è tutto più facile. Ho dovuto accettare anche le cose meno buone, senza maledirle mai, sperando che venisse tutto ripagato. Molti miei colleghi non hanno avuto la stessa fortuna, o il riscontro che meritavano. Il nostro mondo in qualche modo è affetto da una grave malattia: lo snobbismo".

Smetto quando voglio: Paolo Calabresi ed Edoardo Leo in una scena del film
Smetto quando voglio: Paolo Calabresi ed Edoardo Leo in una scena del film

A proposito, oggi molti attori e molte attrici giovani sembra abbiano una spinta in più. "Di interpreti giovani ce ne sono tanti bravi", prosegue Calabresi. "Provo una sorta di invidia, ai miei tempi questa qualità non c'era. Alcune produzioni magari sarebbero state migliori, come sono migliori adesso. Ho stima e invidia per chi è così credibile. Manca però l'aspetto fondamentale: chi scrive oggi non ha lo stesso livello di qualità di prima. Ci siamo disabituati ad una scuola di sceneggiatura. Ci hanno ammazzato decenni di commedie senza arte né parte, mancando la scia della vera commedia all'italiana, che partiva da situazioni dolorose. Faccio un esempio: Smetto quando voglio. Parte dal precariato, da una situazione drammatica, come avveniva in Guardie e ladri, o ne La grande guerra".

Se mancano buone sceneggiature - e manca anche la capacità di stendere al meglio l'idea -, molti attori e molte attrici stanno passando dietro la macchina da presa. Una scelta, questa, che anche Paolo Calabresi sta ponderando. "Un film da regista? Ci sto pensando. Me lo dicono tutti, e quindi devo farlo per forza! Sia un progetto cinematografico per il teatro, in verità. Vorrei però farlo per qualcosa in cui credo. Far diventare un progetto cinema una fase della mia vita che ho raccontato nel libro Tutti gli uomini che non sono, di quando andavo in giro spacciandomi per Nicolas Cage...".