Orrori animati
Tra i momenti più divertenti della passata notte degli Oscar si annovera senz'altro la presentazione da parte di Steve Carell delle nomination come miglior film d'animazione: il comico statunitense ironizzava su come apparentemente i temi dei "cartoni" candidati potessero addirittura far pensare alla categoria per il miglior documentario, soprattutto per la presenza del bellissimo Persepolis, storia dell'infanzia e adolescenza di una ragazza di Teheran, passato a Cannes la passata edizione. Un anno dopo, ci troviamo con qualcosa di ancora più estremo: tra i film in concorso di questa sessantunesima edizione del Festival de Cannes vi è infatti l'israeliano Waltz with Bashir, un documentario autobiografico realizzato però con un misto tra animazione tradizionale, tridimensionale e Flash.
Il progetto ha inizio quando un amico racconta al regista Ari Folman un suo sogno ricorrente legato a dei ricordi della guerra in Libano avvenuta 25 anni prima: da quel momento il regista diventa ossessionato dalla necessità di ricordare momenti dei suoi trascorsi in Libano con l'esercito israeliano, perché, apparentemente a causa di una forma di stress post trumatico, ogni ricordo di quel periodo sembra sfuggirgli. Comincia così una ricerca attraverso ex commilitoni e giornalisti che lo porterà ad indagare sul proprio passato e su quello del proprio paese, fino ad arrivare a riaprire vecchie e dolorose ferite che culminano con la verità sui massacri dei campi di Sabra e Shatila, a Beirut, nel settembre 1982. E' evidente però la volontà del regista di non fare un film inchiesta - anche se non mancano attacchi pù o meno velati alla classe politica dell'epoca, come per esempio a Ariel Sharon, allora Ministro della Difesa - ma un "un film contro la guerra dove i giovani soldati sono semplicemente mossi dai loro capi come fossero delle pedine su una scacchiera".
L'idea di Folman, che ha sempre pensato a questo progetto come un film d'animazione, funziona perfettamente e per un semplice motivo: il disegno qui non è un mero esercizio di stile o un vezzo, ma è l'unico mezzo che ha per ricostruire gli eventi così come sono narrati da coloro che effettivamente erano presenti in battaglia senza uscire dal campo documentaristico ed entrare in quello più rischioso della fiction. Allo stesso tempo rende il film più scorrevole e piacevole per lo spettatore, formando così un'interessante commistione tra due generi apparentemente inconciliabili. La maggiore difficoltà era quella di saper trovare il giusto equilibrio, per non rischiare attraverso questa personale "reinterpretazione" di rendere meno autentiche le testimonianze raccolte o peggio ancora le azioni inumane descritte nel film. Soltanto nel finale quindi Folman rinuncia consapevolmente allo stile adottato per l'intera durata della pellicola e cede alla tentazione di mostrare documenti di repertorio dell'epoca; e lo stacco immediato, il contrasto tra disegnato e filmato è brutale e doloroso e ricorda con forza e veeemenza che nonostante tutto anche noi spettatori - come scherzosamente lasciava intendere Carell lo scorso febbraio - abbiamo fatto confusione tra le categorie.
Movieplayer.it
4.0/5