Archiviata la seconda stagione fatta di lotte interne tra i vari gruppi, scatenate dal personaggio di Vee (Lorraine Toussaint), detenuta manipolatrice e a suo modo materna, nonchè principale antagonista di Red (Kate Mulgrew), Orange Is the New Black riparte con un primo episodio anomalo per un inizio di stagione. Ritroviamo le detenute di Litchfield alle prese con i preparativi per la Festa della Mamma che Joe Caputo, promosso a direttore della struttura, ha permesso di far svolgere all'interno del penitenziario.
La morte di Vee e l'uscita eroica e commovente di Rose vengono accennate ma sembrano essere state messe apparentemente in un angolo delle menti delle ragazze, eccezione fatta per Crazy Eyes incapace di confrontarsi con la perdita di Vee, considerata ingenuamente punto di riferimento ed unica persona che tenesse realmente a lei. In questa prima puntata la storia personale di Piper, motore della prima stagione, è relegata sempre più sullo sfondo, facendo emergere un quadro più ampio di personaggi, mostrando la direzione, sempre più corale, che la serie aveva già iniziato ad intraprendere con la precedente stagione.
Happy Mother's Day
Già dai primi minuti dell'episodio, Jenji Kohan, creatrice ed autrice della serie basata sulle memorie di Piper Kerman - giovane donna della borghesia newyorchese costretta a scontare quindici mesi nel carcere federale di Litchfield per aver trasportato, dodici anni prima, una valigia carica di soldi provenienti dal traffico di droga gestito da Alex Vause, ex amante che la incastra facendo il suo nome al processo - ci mostra queste donne, madri e figlie, vivere con eccitazione e dolore la festività che scatena in loro ricordi d'infanzia, sensi di colpa e rimorsi. C'è chi non ha potuto dire addio alla propria madre, chi non ha mai ricevuto l'amore e le attenzioni che dovrebbero essere scontate, chi, invece, una madre amorevole c'è l'ha avuta ma l'ha persa troppo presto e chi è madre all'interno del carcere senza avere la possibilità di veder crescere o educare i propri figli, lasciati alle cure di parenti, compagni o conoscenti. La Kohan ci mostra tutte queste realtà alternando flashbacks, escamotage narrativo alla base della serie, a momenti del presente, giocando sempre su un'altra costante di Orange Is the New Black, quella del repentino passaggio tra dramma e commedia.
Una stagione apparentemente priva del "villan"
Proprio quest'alternanza viene accentuata in questo inizio di terza stagione dove il penitenziario, con l'uscita di scena di Vee e le sue trame egemoniche, sembra aver perso la sua natura conflittuale alla base dei primi due capitoli, "ripiegando" su una narrazione maggiormente concentrata sui singoli personaggi e le loro storie personali. Una terza stagione, dunque, dove il ritmo è meno serrato e concentrato a scandire con tempi più dilatati la vita all'interno del Litchfield, prestando ancor più attenzione al passato e al presente dei tanti personaggi che fanno di Orange Is the New Black la serie corale per eccellenza. Se da una parte assistiamo ad inedite quanto inusuali amicizie che scatenano ilarità, dall'altra siamo testimoni del dramma personale di altre detenute, come Daya, in attesa di un figlio tra le sbarre del penitenziario o Poussey, sempre più sofferente all'idea di dover scontare una pena che l'ha strappata da una vita reale.
Nella prima parte della terza stagione, proprio questa mancanza di un "villan" o di dinamiche conflittuali marcate fa perdere al Litchfield quella patina di durezza, classica di un penitenziario, per lasciare spazio ad una realtà per edulcorata e forse meno aderente alla realtà rispetto alle precedenti stagioni, che sempre si muovevano tra i contorni invisibili e sfumati di dramma e commedia, ma mai così privati di elementi di scontro. Molto probabilmente questa è una scelta ben precisa da parte dell'autrice proprio per traghettare la serie sempre più verso un respiro corale e fare della vicenda privata di Piper solo una delle tante storie raccontate in vista della stagione conclusiva. Ecco dunque scoprire altre schegge di passato di detenute finora lasciate ai confini della sceneggiatura come pittoresco contorno delle varie umanità relegate tra le mura del Litchfield. In questa prima parte di Orange Is the New Black c'è anche spazio per uno sguardo ravvicinato al privato di secondini e consulenti, maggiormente umanizzati, sui quali spicca la figura di Joe Caputo, il nuovo direttore che cerca di rimanere a galla, insieme al penitenziario, tra le varie difficoltà incontrate nella gestione, cercando di dare al Litchfield un'impronta più attenta al benessere fisico e psicologico delle detenute, con tutti i limiti che la detenzione e la burocrazia comportano.
"I refuse to be invisible": una rivendicazione dell'io
Già dalle prime puntate della terza stagione di Orange Is the New Black spicca prepotentemente il tema dell'identità, centrale nelle storie private di ognuna delle detenute. C'è una volontà di rivendicare il proprio io, in ogni sua forma, sessuale, culturale, religiosa che permette allo spettatore di addentrarsi ancor di più nella psicologia delle detenute, riuscendo a capire comportamenti o scelte passate alla luce delle rivendicazioni attuali. Da Marisol, detenuta ispanica con l'ossessione per i The Smiths e l'eyeliner, e la sua volontà di mostrare le sue capacità, distaccandosi anche dal suo stesso gruppo per cercare conferme fino a Boo, personaggio conosciuto più per la sua passione per le ragazze ed il fiuto per gli affari, che afferma prepotentemente la sua natura omosessuale contro il bigottismo religioso, fino a Sophia, parrucchiera transgender del penitenziario che non vuole rinunciare né alla sua femminilità, acquisita con dolore e rinunce, né al suo ruolo di padre, fino alla silenziosa Chang, che, a differenza delle altre detenute, ha fatto di quell'invisibilità una scelta ben precisa.
La stessa Piper subisce un'epifania, grazie alla proverbiale schiettezza di Red, che le permette di mostrarsi a se stessa e agli altri, detenute e familiari compresi, per quello che è veramente, liberandosi del castello di bugie nel quale si era trincerata da sola. Un'inizio di terza stagione "riflessivo", capace di confermare le indubbie capacità di scrittura della Kohan, autrice abile nel dipingere le varie e contrastanti personalità che si muovono all'interno del Lietchfield, riuscendo a bilanciare, senza far mai pendere troppo l'ago narrativo per l'una o per l'altra, sequenze drammatiche a momenti di veri e propri concentrati di comicità, riconfermandosi, insieme ad House of Cards, come eccellenza di Netflix.
Movieplayer.it
4.0/5