Era il 2005 quando John Carney iniziò a pensare al cinema come via alternativa per raccontare la sua travagliata carriera di musicista nella fredda Dublino, città in cui è nato, cresciuto e in cui ha inseguito a lungo il suo sogno di sfondare a livello discografico insieme al gruppo dei The Frames, di cui è stato per anni il bassista. La fortuna a livello musicale non è mai arrivata ma gli ha indubbiamente dato una grossa mano nella promozione e nella realizzazione di Once, il piccolo film indipendente che ha incantato Steven Spielberg, il pubblico americano e tutta la Hollywood che conta, tanto che l'Academy Awards l'ha premiato con l'Oscar per la Miglior Canzone Originale. Falling Slowly, questo il titolo dello splendido pezzo, è scritta, come tutte le altre che compongono la colonna sonora, dai due straordinari protagonisti del film Glen Hansard, cantante e chitarrista dei The Frames, e Markéta Irglova, la bravissima pianista della Repubblica Ceca con cui Hansard ha inciso il suo primo disco da solista nel 2006.
In occasione dell'uscita italiana del film, distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti, il trentaseienne regista irlandese è giunto a Roma e si è raccontato ai giornalisti con una sincerità e un'onestà intellettuale quasi imbarazzante. Carney ci ha raccontato i suoi ambiziosi progetti futuri dopo il trionfo agli Oscar che gli ha letteralmente spalancato le porte dello star system, ma anche la genesi di questo progetto nato tra amici un po' per gioco e per la cui realizzazione è dovuto ricorrere persino all'accensione di un mutuo. Dopo un paio di piccoli film di successo e tre serie (come regista e sceneggiatore) della popolare fiction irlandese Bachelors Walk (la produzione televisiva indipendente che in Irlanda ha letteralmente spopolato), Carney sta già lavorando al suo nuovo progetto, un film americano che, ha assicurato, non lo allontanerà troppo da storie come quella di Once, fatte di personaggi veri e piccoli universi di vita di cui oggi il cinema e il pubblico hanno tanto bisogno.
Perché realizzare un insolito film d'amore per parlare di musica?
John Carney: Once è un film che parla di me, di quel che vivevo in prima persona in quel momento e di quel che ho vissuto tra gli anni '80 e '90 a Dublino, quando ero un musicista squattrinato che girava per i locali in cerca di un successo che non arrivava mai. Avevo una storia a distanza con la mia attuale fidanzata che all'epoca viveva a Londra (la ragazza bruna che si vede nel filmino e che interpreta la ex del protagonista, ndr) ed ero molto combattuto in quel momento, Dublino è piena di tentazioni e di belle donne provenienti da tutte le parti d'Europa.
Quanto è stato difficile girare un film con così pochi soldi?
Realizzare un film indipendente è difficile ovunque, ma in particolare in Irlanda, anche se costa poco è difficile trovare persone disposte a investire i propri soldi su un progetto simile. Poi per uno come me che è rimasto a casa con i genitori fino a trent'anni, perché non riusciva a guadagnare abbastanza da potersene andare, è stato ancora più complicato. Così come il protagonista del film chiede un prestito per incidere il suo disco io l'ho chiesto tramite un conoscente di mio padre per realizzare il mio film e mi è andata bene. Ho restituito tutto fino all'ultimo centesimo, ma se il responsabile non avesse avuto fiducia in me forse non sarei qui oggi.
Che Dublino e che Irlanda sono quelle che racconta nel suo film?
Non di certo la città che è adesso. Quella che vedete nel film è più la Dublino degli anni '80 e '90, una città in continuo cambiamento in cui arrivavano giovani soprattutto dall'est Europa, una città in piena trasformazione che ha fatto fatica ad adeguarsi agli standard delle grandi metropoli. L'Irlanda di quegli anni era diversa da com'è ora, per trovare un bar che facesse il famigerato 'cappuccino' dovevamo attraversare tutta la città, si cercava di risparmiare il più possibile e tutto assumeva una dimensione familiare, si suonava e cantava per strada, quando si incideva un disco lo si faceva tra amici, tra una bevuta e l'altra.
Ora la situazione sotto il profilo artistico è cambiata?
No, non molto. A vederlo da fuori l'ambiente musicale irlandese sembra prolifero e in grande salute ma non è così. A parte gruppi di grande successo come gli U2 e i Cranberries la situazione artistica è tutt'altro che rosea. Anche nel cinema è lo stesso, prendete un attore come Colin Farrell, ora è un vanto per l'Irlanda ma per diventare celebre ha dovuto trasferirsi negli Stati Uniti e lavorare a Hollywood. E' stato per anni un bravissimo attore di teatro ma in Irlanda nessuno l'ha mai preso sul serio. E' stato così anche per me, i fatti sono sotto gli occhi di tutti.
L'Oscar vinto con le musiche di Once le ha aperto qualche porta in più?
Ovviamente si, direi che se ne sono spalancate diverse. A Hollywood la statuetta è considerata una garanzia di qualità, ora secondo loro son pronto per fare quasi tutto. Dovrò stare molto attento ai progetti futuri, mi sono ripromesso di non farmi distrarre dal successo e di continuare sulla mia strada, su quel cammino che mi ha condotto fino qui. Non è mia intenzione realizzare l'ennesima commedia romantica hollywoodiana, credo che sia dovere mio, come di qualsiasi altro regista, continuare a raccontare le proprie emozioni, storie che vengono direttamente dal cuore.
Non pensa, a questo proposito, di aver realizzato un finale un po' troppo hollywoodiano?
Assolutamente no, se avessi scelto un finale del genere per un film americano non avrei mai trovato alcun produttore pronto a finanziarmi. Mi avrebbero sicuramente obbligato a scegliere una conclusione più romantica, magari in cui i due protagonisti finiscono per sposarsi e per vivere per sempre felici. Un po' come i finali di Spielberg, che secondo me sono sempre un po' fuori luogo e buonisti. Per fortuna non è il finale che fa amare o odiare un film ma la storia, i personaggi e le alchimie che si creano tra loro.
Il suo è stato un modo per reinventare la formula classica del musical americano?
Non so, ma credo che per reinventare la formula del musical e per attrarre le nuove generazioni ci vogliano oggi piccole storie e personaggi 'veri', il musical tradizionale ha ormai fatto il suo tempo nell'era della televisione e degli effetti speciali. Le esigenze del pubblico sono cambiate rispetto agli anni '30 e '40, all'epoca si entrava in sala per distrarsi dalla drammaticità di un contesto storico-politico drammatico, mentre oggi la società è cambiata radicalmente. E' difficile fare un musical che funziona oggi, si rischia di fare un flop e di non riuscire a coinvolgere lo spettatore nelle vicende dei personaggi. Prendete Moulin Rouge, bellissimo film, pieno di colori e di belle canzoni, ma povero a livello di impatto emotivo, piuttosto freddo e avvicinabile più a una parodia dei vecchi musical MGM.
Se in futuro potesse scegliere di fare una documentario musicale su un grande della musica chi sceglierebbe?
Mi piacerebbe realizzare un biopic su un genio come Stevie Wonder o su un grande come Frank Sinatra, ma anche un musical sul jazz, colorato e un po' sopra le righe sul genere di Cantando sotto la pioggia. Magari un musical hip-hop che accontenti anche i più giovani.
Secondo Lei cosa è piaciuto tanto agli americani di Once?
Forse la purezza dei toni e della messa in scena, il pudore di una storia d'amore mai consumata ma vissuta attraverso la musica, due personaggi che incrociano le loro strade, provano a cambiare i loro destini per poi separarsi nuovamente. Non avevo bisogno di scene di sesso o di baci appassionati per descrivere quanto profondo fosse il loro sentimento, forse è per questo che gli americani lo hanno amato, perché non sono abituati a storie d'amore così dolcemente platoniche...
Una piccola anticipazione sul suo prossimo film?
Si intitolerà Town House e sarà un film dai toni piuttosto dark ambientato in un appartamento di Boston. La protagonista sarà una ragazza prigioniera della sua casa e della sua mente, affetta da agorafobia. Non posso dirvi di più, non c'è ancora nulla di ufficiale.