Recensione Moolaadé (2004)

Sembene, il nome più importante del cinema africano moderno, fa del suo nuovo film un intenso manifesto femminista, scegliendo di denunciare e condannare duramente la Salindé, uno dei rituali più crudeli della sua società.

Oltre l'ignoranza

Patrocinato da Amnesty International, esce in Italia, significativamente nel giorno della festa della donna, Moolaadé, film vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2004, un piccolo racconto di speranza che arriva da uno di quei posti senza nome nel cuore del mondo, dove ancora si vive esclusivamente grazie a quello che offre la terra e dove sopravvivono affascinanti rituali accanto a pratiche barbare che sfregiano le donne nel corpo e nell'animo. Ousmane Sembene, il nome più importante del cinema africano moderno, fa del suo nuovo film un intenso manifesto femminista, scegliendo di denunciare e condannare duramente la Salindé, uno dei rituali più crudeli della sua società, la cerimonia di purificazione delle ragazzine attraverso la loro escissione. Il rito rappresenta un vero e proprio evento nella vita di queste donne: la mutilazione dei loro genitali nega loro la possibilità di provare piacere sessuale, consegnandole così all'uomo nella loro purezza, pronte a diventare spose fedeli. Purtroppo l'ignoranza che spesso accompagna il rispetto di queste pratiche secolari rende naturale l'accettazione da parte delle stesse donne di questi che sono visti come riti di passaggio obbligati per affrontare l'età adulta.

Il Moolaadé del titolo fa riferimento al diritto di asilo, in questo caso alla protezione offerta a quattro bambine, in fuga dalla Salindé, da parte di Collé Ardo, una donna che nel passato, dopo aver visto morire le proprie figlie proprio durante tale pratica, ha deciso di non sottoporre la sua ultimogenita a quest'inutile tortura. Altre due bambine scappate durante il rito purificatorio vengono ritrovate senza vita in un pozzo. Si scatenerà, così, un duro confronto fra le donne del villaggio sulla necessità di un simile, brutale rito. In questo affare "fra donne" è chiamato ad intervenire l'uomo nel tentativo di uccidere sul nascere questa piccola, importante rivolta e riaffermare con violenza bruta la propria autorità. L'immagine offerta da Sembene è quella di una società fortemente maschilista e misogina, governata da uomini che possono disporre a proprio piacimento della donna e scegliere di circondarsi di più mogli, senza ammettere disubbidienza o libertà di espressione nelle questioni importanti. Nel film, i contatti più intimi che il maschio ha con la donna si risolvono in un amplesso veloce, violento ed egoista e nelle frustate in pubblico quando questa si rifiuta di chinare il capo ed eseguire gli ordini che le sono stati dati.

L'emancipazione femminile è una conquista ancora lontanissima. Quando l'uomo si accorge che la donna prova a fare un passo oltre il recinto di ignoranza in cui è stata confinata, il pericolo di vedere messo in discussione il proprio potere porta il maschio a reprimere con prepotenza ogni voce dissidente, attraverso l'umiliazione pubblica di chi non ha voluto sottostare ai suoi comandi o attraverso il rogo delle radio davanti alla moschea. Nel film, la radio è, infatti, un elemento dotato di forti connotazioni simboliche, l'unico soffio di civilizzazione che dall'esterno riesce a penetrare nelle capanne coi tetti di paglia che recintano la quotidianità incosciente di queste donne sottomesse all'uomo-padrone. Confiscandole prima e bruciandole poi in un luogo pubblico, la società maschilista africana chiude le porte alla modernizzazione e scaccia ogni ipotesi di parità sessuale. Sarà un'insopportabile disperazione postuma a far prendere coscienza alle donne che è giunta l'ora di cambiare le cose per non restare schiave a vita non solo dell'uomo, ma delle loro stesse prigioni mentali.

Mai didascalico o ricattatorio, Sembene ci fa entrare con coinvolgente partecipazione in questo villaggio qualunque dell'Africa più povera, che cerca coi colori sgargianti degli abiti e delle piccole cose di rendere più sopportabile la miseria quotidiana di un mondo che sembra essersi fermato ad un tempo che per noi è ormai lontanissimo. L'ultraottantenne regista senegalese lascia intelligentemente le bambine sullo sfondo, dietro le gonne delle donne adulte, per riflettere sulla sua società, sui rapporti uomo-donna e su pratiche spietate, sintomo dell'arretratezza del Terzo Mondo. Moolaadé è un film visivamente splendido, che vive di momenti genuini, di lampi di ingenua comicità, ma che acquista spesso i toni drammatici che un tema del genere impone, senza però mai ricercare la commozione ad ogni costo. Un messaggio (d'amore) rivolto alle masse africane, affinché si aprano senza timore all'inevitabile cambiamento, ma anche una grande possibilità per noi di conoscere civiltà così lontane e di riflettere su un'ignoranza diffusa che ancora domina buona parte del mondo.