Olivier Assayas a Roma per presentare L'heure d'ete

Il regista di Clean al Festival romano incontra pubblico e stampa per parlare del suo cinema e della sua ultima opera.

Simpatico e dinoccolato, Olivier Assayas confessa in un italiano perfetto di aver posticipato le proprie vacanze per presentare a Roma il suo film più bergmaniano, L'heure d'ete, che fotografa tre fratelli intenti a spartirsi l'eredità contenuta nella casa di famiglia dopo la morte della madre. Il regista di Irma Vep e Clean ha un concetto di cinema solido e moderno ed è un piacere sentirlo parlare della settima arte che pratica non solo come mestiere, ma come vera passione. Il suo è un cinema che vuole stupire e sorprendere, in primis il regista stesso. "Un film è un organismo vivo e pulsante, che si trasforma continuamente. Dalle fasi iniziali di scrittura alla postproduzione assume molteplici forme. Le riprese sono diverse ogni giorno. Per questo io non faccio quasi mai prove con gli attori, le faccio solo per scene tecnicamente complesse come piani sequenza o scene che richiedono molte posizioni diverse per la macchina da presa. Quando lavoro con gli attori voglio che arrivino a dire le battute in camera per la prima volta, il tutto per mantenere intatta la spontaneità".

Il cinema di Assayas è un incrocio complesso di influenze, intuizioni e desideri. Il regista è debitore di molto cinema sperimentale degli anni '60 e riconosce l'importanza per la sua formazione di artisti come Kenneth Anger, Jonas Mekas, Andy Warhol e del grande John Cassavetes. "L'importanza del cinema sperimentale anni '60 per i registi francesi della mia generazione è pari a quella della Nouvelle Vague per la generazione precedente. La connessione tra cinema narrativo e cinema sperimentale è molto profonda. La sperimentazione contiene una potenza artistica e comunicativa fortissima. Per questo in Irma Vep ho voluto riprodurre la tecnica dello scratching, per ricreare la potenza e l'emozione del cinema del passato. Se però devo indicare i miei veri maestri, coloro che mi hanno spinto a fare il regista e hanno influenzato maggiormente la mia poetica, allora posso fare due soli nomi: Ingmar Bergman e Robert Bresson. Bergman è il regista che, più di ogni altro, ha creato un connubio essenziale tra cinema e letteratura. La sua scrittura, integra e pura, ha riformulato lo stile del cinema moderno. L'heure d'ete è, in parte, un omaggio a Bergman per le tematiche trattate e per l'attenzione sulle dinamiche familiari. Il film non è autobiografico, ma dopo la morte di mia madre ho sentito il bisogno di fare un film diverso dai precedenti, un film che riflettesse sulle dinamiche del lutto familiare, un film francese anche nello stile".

La produzione artistica di Assayas, infatti, guarda con interesse al cinema di genere cercando di reinventarlo in maniera molto personale perché "fare copie di film già esistenti non ha molto senso. Occorre andare a ricercare la verginità originaria del cinema. Un impulso importante per me lo riveste la musica. Anche se non ho mai avuto dubbi e fin da piccolo ho sempre saputo che avrei fatto cinema, la musica è stata l'arte che mi ha provocato le emozioni e le sensazioni più forti. Sono cresciuto negli anni '70, influenzato dalla controcultura, dal rock, dalla poesia di Bob Dylan, dallo shock provocato dall'aver sentito per la prima volta "God Save The Queen" dei Sex Pistols. Il questo senso il mio cinema è profondamente influenzato dalla musica anche se poi, di fatto, mi sono trovato solo due volte a riprendere gruppi rock da vivo. In questo senso un modo per riprodurre queste emozioni così forti è proprio guardare a quel cinema di genere così fisico e violento. I cineasti più classici e molta critica tendono a non rispettare molto il cinema di genere, ad esempio l'horror, mentre per me ha avuto grande importanza e cerco sempre di riprodurre nei miei lavori quella stessa fisicità che attrae così tanto il pubblico".