Ha raccontato la guerra in Vietnam e indagato sulla morte di Kennedy. È stato il primo cineasta americano ad affrontare la tragedia dell'11 settembre sullo schermo, e ha anche portato al cinema le vite di Jim Morrison e Alessandro il Grande. Parliamo di Oliver Stone, il grande regista americano che è tornato al Festival di Zurigo, di cui è un amico di vecchia data, come presidente della giuria del concorso internazionale lungometraggi (ha vinto Sound of Metal, dramma musicale statunitense già apprezzato a Toronto). Per l'occasione si è anche divertito a conversare con il pubblico della kermesse, dando sfogo alla sua celebre logorrea senza tabù e censure, affrontando argomenti che vanno dalla politica alla tossicodipendenza, sulla quale è sempre stato molto aperto: "Ho cominciato a drogarmi in Vietnam, e dopo la guerra ho continuato a fumare erba senza problemi. La cocaina invece l'ho accantonata perché mi stava distruggendo. È in quel periodo che ho scritto la sceneggiatura di Scarface."
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Dal Vietnam a Hollywood
Oliver Stone si è avvicinato al cinema dopo aver combattuto in Vietnam: "Ho studiato alla New York University, e siccome ero un veterano di guerra la retta fu pagata dall'esercito." Si è inizialmente fatto notare come sceneggiatore, con titoli come Fuga di mezzanotte (che gli è valso il suo primo Oscar), Scarface e Conan il barbaro. Questo ha portato la critica a pensare che fosse di destra. "Hollywood è di destra", risponde Stone con un ghigno. "John Milius è di destra, ma è simpatico, e lo era anche Michael Cimino. Bisognava stare al passo coi tempi: ho scritto le sceneggiature di Platoon e Nato il quattro luglio nel 1976, e ci sono voluti dieci anni per poterle portare sullo schermo." Perché questa lunga attesa? "All'epoca andavano di moda Rambo e Chuck Norris. Il cacciatore e Apocalypse Now erano andati bene, e sono ottimi film, ma a differenza dei miei non mettevano in dubbio le nostre ragioni per essere andati in Vietnam, e quindi erano accettabili." Com'è il suo rapporto con le major hollywoodiane? "Il rapporto più lungo che io abbia avuto con una major è stato con la Warner, per tre film consecutivi: JFK - un caso ancora aperto, Tra cielo e terra e Assassini nati. Il primo andò bene, ma non mancarono le polemiche; il secondo andò male, e il terzo fu talmente controverso che per Gli intrighi del potere - Nixon dovetti rivolgermi ad altri." Rivendica ancora la correttezza del contenuto del film sul caso Kennedy? "Non volevo annoiare gli spettatori con le mie ricerche, quindi alcune licenze drammatiche ci sono. Ma rimango convinto dell'esattezza di gran parte del contenuto."
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Questioni politiche
È difficile non parlare di politica con Oliver Stone, i cui film spesso e volentieri analizzano gli Stati Uniti da quel punto di vista, che si tratti dell'omicidio presidenziale del 1963, dell'intervento militare in Vietnam o della presidenza di George W. Bush. Come spettatore, o presidente di giuria, riesce ad apprezzare opere prive di contenuti politici? "Quella domanda è fondamentalmente sbagliata, perché secondo me tutti i film sono politici, anche le commedie, per dire. Detto questo, la politica in sé non mi interessa, mi interessano i personaggi. Nixon, per esempio, non è un film sulla politica, è la storia dell'ascesa e del declino di un uomo. JFK parla di un omicidio e del suo insabbiamento, non di politica. L'unica eccezione parziale è W., quello l'ho fatto perché ero arrabbiato per la guerra in Iraq, e ho volutamente reso Bush un idiota bidimensionale, per mostrare al pubblico come sia possibile per un cretino diventare presidente. Per me lui ha fatto molti più danni di Trump, e dovrebbe scontare una pena carceraria per crimini di guerra, insieme ad altri individui di quell'amministrazione." Com'è nata invece la miniserie The Putin Interviews? "Mentre lavoravo a Snowden mi sono recato più volte in Russia per parlare con il vero Edward Snowden. L'intermediario era un avvocato russo, e tramite lui ho potuto incontrare Putin. La prima conversazione informale è andata bene, e sono tornato per altre chiacchierate, da cui è venuta fuori la miniserie."
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Da Val Kilmer a Michael Douglas rapporto con gli attori
A Zurigo il regista ha portato anche il restauro di The Doors, già presentato a Cannes. Cosa lo spinse a scegliere Val Kilmer come interprete principale? "Era la persona giusta per la parte, la voleva con tutto se stesso. A livello sonoro, quello che sentite nel film è una divisione equa tra la voce di Val e quella di Jim Morrison." Come mai Kilmer definì Stone "un fascista amichevole"? "Credo che sia dovuto al fatto che alla fine delle riprese volessi ucciderlo. Battute a parte, voglio molto bene a Val, e ci sentiamo regolarmente, anche se non lavoriamo tanto spesso insieme."
Com'è stato invece il rapporto con Michael Douglas sul set di Wall Street? "Siamo andati perfettamente d'accordo, e lui ha fatto un ottimo lavoro nei panni di Gordon Gekko, ma nessuno di noi si aspettava che il personaggio ottenesse una popolarità così grande." Gekko è l'unico personaggio sul quale Stone è tornato a lavorare, ma non per scelta delle alte sfere: "Lo studio non mi voleva, e ne aveva pieno diritto essendo il detentore della proprietà intellettuale anche se i personaggi li avevo ideati io. Fu Michael a insistere, non voleva fare il sequel senza di me." L'incontro si chiude con una domanda più generale: se dovesse stilare una lista dei suoi film preferiti in assoluto, quali sceglierebbe? "Mi rifiuto di rispondere. Voi critici siete fissati con le classifiche, ma perché? È una cosa che non sopporto, perché le liste, per principio, escludono, e secondo me tutti i film meritano le stesse possibilità."