Recensione Les regrets (2009)

Tra girotondi amorosi trascinati dall'amore e languide sequenze erotiche, il francese 'Les Regrets' racconta una difficile storia di passione e amor fou. Con il merito di riportare sullo schermo la brava Valeria Bruni Tedeschi.

Obsession

La storia eterna degli amanti consunti dalla passione. La tragedia romantica dei cuori infranti. Les Regrets di Cédric Kahn è un film essenziale e sobrio, timbro cui il regista francese di Luci nella notte ci aveva già abituati, che disossa la narrazione, prosciugata dai detour esistenziali e infittita di vacui girotondi amorosi, e cede il passo al suo embrione narrativo.
Mathieu è un architetto quarantenne molto pragmatico, abituato a guardare la vita scindendo il bianco dal nero, che torna nella città natale per assistere la madre in fin di vita. Durante la sua sosta nel paese incontra Maya, che aveva lasciato 15 anni prima senza spiegazioni. Tra i due, entrambi sposati, si riaccende la vecchia passione, ma il loro ménage sentimentale non si rivela una felice alchimia e sembra esaurirsi vertiginosamente in una passione che porta alla follia.

Il discorso amoroso, infiammato o incespicato nel furtivo rapporto, travagliato, tra amanti irregolari, fuori dall'alcova sessuale, è forse uno degli spunti narrativi più abusati del cinema francese e il regista Kahn pare non si sia sottratto a questa scivolosa increspatura. La sua regia essenziale prova a far emergere una storia di ritrovamenti, che manca davvero di originalità, imbastendo contrappunti amari ben orchestrati che però finiscono per attutire l'evocazione degli eventi con una desolata compunzione dei toni. La cerebralità e il formalismo del ritmo sottraggono forza emotiva al racconto, intriso di fili scarni e per-turbato da vibrazioni fragili, e l'intensità delle emozioni che dovrebbe scaturire dal balletto tragicomico dei due protagonisti si affievolisce nell'ombra del dejà vu e nella freddezza di un'atmosfera compassata.
Tratteggiate con raffinatezza invece le psicologie degli amanti irrequieti: la brava Valeria Bruni Tedeschi convince con la sua donna tormentata e impaurita, anima smarrita che sembra abbandonarsi solo nelle, insistite, languide sequenze carnali, mettendo in scena la frenesia indomita e la violenta energia del suo personaggio senza risultare affettata, Yvan Attal invece delinea col suo sguardo imperscrutabile e perso dietro gli occhialini neri del borghese piccolo piccolo l'uomo accaldato dalla passione clandestina, sul baratro del crollo nervoso, pronto a inghiottirlo.
Il film scorre innocuamente mentre il suo flebile nerbo narrativo affastella sfuriate prepotenti e posticci inseguimenti urbani e l'attenzione è distolta dalla musica vorticosa di Nina Simone che canta "Sinnerman", che concilia magistralmente la geometria del plot con la sincope del jazz.