Recensione Under the Mountain (2009)

Black Sheep lasciava presagire che anche in ambito fantasy il regista avrebbe sorpreso tutti con il suo dissacrante umorismo. Aldilà di qualche parentesi ironica, però, il film si muove su binari piuttosto convenzionali.

Nuovo fantasy, vecchie conoscenze

Non si può proprio dire che il debutto alla regia del neozelandese Jonathan King sia avvenuto in sordina. Gli ovini killer di Black Sheep, esperimento genetico malriuscito sfuggito al controllo nel momento esatto in cui il "pecora-fobico" Henry ritorna, è il caso di dirlo, all'ovile, hanno valso a King l'immediata notorietà, e anche una generale benevolenza da parte dell'audience, sempre pronta a plaudire la venuta di idee originali. Per la sua seconda prova alla regia era lecito, quindi, aspettarsi un altro lavoro fuori dagli schemi, e quale miglior terreno di sperimentazione del fantasy per liberare tutta la sua verve dissacrante? Tanto più che i due protagonisti, i gemelli Theo e Rachel, stanno attraversando il periodo dell'adolescenza, riconosciuto da coloro che gli sono sopravvissuti come il più foriero di imbarazzi e tentennamenti, che è sempre bene stemperare con la giusta dose di leggerezza. L'ironia e la garbata presa in giro in effetti sono alcuni degli ingredienti della pellicola, che si allargano anche al popolo neozelandese tutto. Il fulcro della vicenda è però la lotta che i due ragazzi dovranno intraprendere per salvare non soltanto la propria orgogliosa e diffidente patria, ma l'intero pianeta, da una minaccia inquietante. Dopo la morte della madre in un incidente, i due si trasferiscono dagli zii, i cui dirimpettai vanno ben oltre alla loro apparenza di vecchietti asociali avversi a tutto il vicinato: essi sono infatti esseri malvagi che, spostandosi di mondo in mondo, privano ogni cosa della vita, consumando ogni risorsa e bellezza disponibile. Sarà un senzatetto che padroneggia il potere del fuoco, ultimo ad aver cercato di combattere i Wilberforce (questo il nome con cui sono noti nel consesso umano) a rivelare a Theo e Rachel il loro ruolo fondamentale nella distruzione della minaccia: in quanto gemelli, uniti per di più da un legame quasi telepatico, possono a loro volta imparare ad evocare il fuoco, letale agli invasori.

E' evidente come in questo caso King abbia scelto un approccio meno drastico nella caratterizzazione della storia: gli elementi archetipici del genere fantasy ci sono tutti, dal ragazzino schivo e chiuso in se stesso che trova la propria forza nel servire una grande causa, al mentore saggio ma dal passato ombroso, alla figura femminile altera e responsabile. E così la storia segue uno sviluppo canonico e piuttosto prevedibile, sebbene vitalizzato dai siparietti ironici offerti dal cugino Ricky e dalla sua tormentata ricerca della prima esperienza sessuale. Il contrasto, così suggerito, tra gli aspetti ordinari dell'esistenza di un adolescente qualunque e il particolare ruolo affidato a Theo e Rachel sembra però non sfiorare minimamente i protagonisti: difficile credere che due ragazzi contemporanei, quantunque psicologicamente provati dalla perdita di un genitore, accetterebbero con tanta naturalezza un così bizzarro destino. Ferma restando la sospensione dell'incredulità sulla quale si fonda una qualsiasi esperienza cinematografica, e ancora di più il genere fantasy, un passaggio più sfumato dalla normalità allo straordinario avrebbe aggiunto profondità e sfaccettature alla vicenda, permettendo una definizione più accurata anche dei personaggi che, seppure simpatici, non vanno oltre le aspettative. Allo stesso modo, al pur interessante concetto secondo cui solo con la perfetta comunione di intenti tra i due gemelli si può aspirare alla vittoria finale non è dedicato lo spazio che meriterebbe: il rapporto, inizialmente conflittuale, tra Rachel e Theo segue l'evoluzione più prevedibile possibile, senza scossoni di sorta. Sul versante del design non si può certo parlare di innovazione: i Wilberforce, esseri antropomorfi dotati di tentacoli venefici, possono assumere un aspetto grottescamente umano; gli effetti digitali, di fattura discreta, sono implementati a tratti in maniera un po' posticcia, ma il risultato è comunque dignitoso.

La spinta satirica e paradossale che animava il primo lavoro di King sembra essersi ripiegata su se stessa, lasciando spazio ad una gestione del plot e dei personaggi più convenzionale, forse in considerazione del target di giovanissimi a cui la pellicola è destinata. Nonostante non brilli per originalità, Under the Mountain offre comunque agli spettatori un'esperienza gradevole, in cui, come nella migliore tradizione, trionfano i buoni sentimenti e ogni conflitto viene ricomposto nell'happy ending finale.