"Il cinema non dovrebbe dare lezioni né insegnare qualcosa, è semplicemente la condivisione di un viaggio, di un'esperienza, di sentimenti, emozioni, dubbi". Uberto Paolini di dubbi su questo non ne ha e al suo terzo film Nowhere Special (in sala dall'8 dicembre) conferma la raffinatezza e la profondità che aveva già dimostrato in Still Life, senza la pretesa di insegnare qualcosa: "Questo film non giudica nessuno, sono l'ultima persona capace di giudicare gli altri sia nella vita, sia nel lavoro che faccio e nelle storie che racconto. Nowhere special non vuole dare lezioni, né risposte a un problema difficile come quello affrontato dalle persone che lo hanno ispirato". È la storia di un padre, John (James Norton), un lavavetri malato di cancro che trascorrerà i giorni che gli rimangono a cercare la famiglia perfetta a cui dare in adozione il piccolo Michael (Daniel Lamont), dopo che la madre li ha abbandonati.
L'origine del film: dalla cronaca al cinema
Dove ha trovato questa storia?
Viene da un articolo di giornale dove avevo letto la storia di un padre malato di cancro che cerca di trovare una nuova famiglia a cui affidare il suo bambino. Mi ha colpito subito, sono un genitore anch'io e ho tre figli ormai ventenni e ho provato a capire cosa volesse dire vivere questi momenti, l'obbligo di trovare una soluzione e di doverglielo comunicare. Ho contattato i servizi sociali che si erano occupati del caso e non hanno potuto dirmi niente altro di quello che già raccontava l'articolo ovvero la storia di un padre single senza una famiglia propria sulla quale appoggiarsi, la madre li aveva abbandonati pochi giorni dopo la sua nascita. Non si era mai ricreato una nuova famiglia, ma aveva deciso di dedicarsi completamente alla crescita del piccolo. Così avevano passato insieme questi quattro anni, e dall'iniziale curiosità di provare a capire cosa volesse dire essere nella situazione del padre mi sono poi incuriosito alla forza di questa unione separata dal resto del mondo. John non aveva neanche degli amici con cui andare al pub, si era completamente dedicato al figlio e questa dedizione per me particolare ed esclusiva mi ha molto colpito. Ho cominciato quindi a fare delle ricerche su cosa significhi l'adozione in Inghilterra sia da un punto di vista pratico che emotivo. Cosa vuol dire cercare una nuova famiglia per un figlio, come la si cerca, come la si identifica? Esiste la famiglia giusta? Ho provato a ricreare questo viaggio dopo molte conversazioni con la gente coinvolta nell'adozione: impiegati in agenzie che si occupano di organizzare adozioni, famiglie in procinto di adottare e persone che erano state adottate.
E cosa è successo dopo?
Non ho praticamente nessuna immaginazione per cui ho dovuto rubare a delle vere storie e a delle persone reali questi profili di famiglia, di intenzioni e di modi diversi di avvicinarsi all'adozione, sono stati gli esempi che il padre in questione ha dovuto analizzare e capire. Ma durante questo cammino di conoscenze e di incontri c'è un'evoluzione di quello che il padre pensa sia la cosa giusta da offrire al figlio. La vita si basa sull'amore e sulla curiosità e nel momento in cui pensiamo di avere delle certezze sugli altri, sulle persone vicine a noi o lontane da noi, quando tentiamo di capirle perdiamo l'opportunità di comprenderle veramente e amarle nel modo giusto. Il padre protagonista di questo viaggio a un certo punto del suo percorso abbandona le certezze dell'inizio e si trova a confrontarsi con l'ignoranza e la realtà di non conoscere suo figlio abbastanza da prendere una decisione così importante. È un viaggio d'amore di due persone che si amano in modo vero, curioso e interessante. Sono presi entrambi dalla presenza e dall'intimità dell'altro, è un viaggio di riscoperta e di come le nostre debolezze debbano essere accettate.
Nowhere Special, la recensione: lacrime e dolcezza tra padre e figlio
Cosa ha scoperto di nuovo sul mondo dell'adozione? Qual è il sentimento che accomuna queste persone?
Ho imparato che ogni coppia, ogni singola persona - in Inghilterra possono adottare anche i single - arriva a questa decisione in modi e per ragioni diverse, non c'è una regola assoluta e unica: può essere per un'esigenza personale o per il desiderio di affrancare la necessità dell'altra persona nella coppia, ma può dipendere anche da un sentimento di generosità verso i bambini che non si conoscono, o da una decisione egoista, per esempio per il bisogno di condividere la propria vita con qualcun altro e dedicargli il proprio affetto. Non ci sono famiglie perfette, amo molto tutte quelle che John e Michael incontrano durante il loro percorso in Nowhere Special - Una Storia d'Amore e sono convinto che ognuna avrebbe potuto in modo diverso offrire una buona casa e una buona vita a piccolo Michael. Certo sarebbero state diverse, ma non necessariamente una migliore dell'altra compresa l'ultima famiglia incontrata, quella che apparentemente sembra la meno adatta e che addirittura si dichiara tale.
Sono convinto che ad un altro bambino o bambina avrebbe potuto offrire tanto e portare a un'unità familiare migliore di quello che in superficie potrebbe sembrare. In un modo o nell'altro quelle famiglie sono speciali e hanno tutte aspetti positivi e negativi: da una parte c'è una persona che parla troppo e non ascolta, dall'altra ci sono forse troppi bambini e l'affetto dei genitori sarebbe necessariamente da compensare con quello degli altri bimbi, mentre i genitori dell'inizio forse sono troppo ricchi.
John fa il lavavetri. È stata una scelta casuale?
Il lavoro e l'idea del lavavetri, dell'uomo che osserva le vite degli altri attraverso il proprio mestiere, era già presente in sceneggiatura. D'improvviso John si sente obbligato e naturalmente portato a scoprire la vita degli altri, proprio perché deve provare a capire che tipo di famiglia siano e se sono adatte per il suo bambino. Da spettatori le incontriamo per la prima volta come se fossimo lui fuori dalle finestre e entriamo nella loro case attraverso il vetro che lui dovrà lavare prima di conoscerle. È stata una decisione molto chiara e diretta, ma non metaforica.
Il viaggio padre e figlio e la scelta del piccolo Daniel
Come è riuscito a creare questo rapporto tra padre e figlio nella finzione?
Con molta fortuna, grazie agli dei del cinema! Ho avuto molte poche regole: la prima era quella di trovare un bambino che non avesse mai lavorato con nessun altro, neanche con la maestra di scuola per fare la recita natalizia, e poi ho insistito che i genitori non raccontassero e non provassero a insegnare la recitazione o le battute che avrebbe dovuto dire Daniel il giorno dopo. Volevo che gli si lasciasse scoprire giorno per giorno ciò che doveva fare, come affrontare il lavoro e diventare un professionista del cinema. Ho visto circa cento bambini tra i tre e i quattro anni e mezzo, poi ho cominciato a lavorare con una ventina di loro, ma appena ho incontrato Daniel mi sono accorto che aveva qualche cosa di molto speciale, che benché fosse di grande espansività ed euforia, era anche un bambino che ogni tanto osservava gli adulti e il mondo che lo circondava, ed era un po' quello che avevo scritto nella sceneggiatura: un padre e un figlio entrambi abbastanza introspettivi, che non si parlano molto, si osservano ma non hanno grandi conversazioni o chiacchierate. Daniel aveva una capacità di silenzio e di osservazione straordinari, poi ho chiesto a James di passare molto tempo con lui prima delle riprese e di provare a creare quasi un'amicizia. James è andato molto oltre e ha passato giornate intere insieme a Daniel e alla sua famiglia, ha veramente creato una vera amicizia al punto che l'amore e l'affetto che vediamo sullo schermo fra John e Michael sono veri e credibili. Una delle qualità del film è che nulla è stato creato al montaggio, ma abbiamo semplicemente catturato una realtà, un vera emotività; le scene più importanti fra padre e figlio non sono state realizzate in montaggio, ma sono dei piani sequenza anche abbastanza lunghi con tutte e due i protagonisti in macchina, sono momenti vissuti nella realtà, li abbiamo solo catturati.
La scelta di James invece?
James ha avuto un'enorme generosità e ha dedicato quello che molti altri attori non avrebbero fatto, ha capito che il film si sarebbe retto sulla veridicità del rapporto tra padre e figlio e che su quello doveva concentrare le sue energie. In molti mi hanno chiesto e fossero veramente genitore e figlio, ed effettivamente quando ho cominciato a pensare al film mi ero convinto di dover trovare un attore che avesse veramente un figlio e che fosse disposto a lavorarci insieme. Lo avevo trovato in Australia, ma era troppo lontano e quindi abbiamo deciso di fare un casting più normale. Avevamo deciso di scrivere con meno enfasi e spiegazioni possibili di quello che succede nella testa del padre. John non ha amici ed una delle ragioni che mi ha spinto a scegliere il mondo del lavavetri è il fatto che sia un mestiere che si può fare da soli, senza avere dei colleghi che in una situazione simile sarebbero stati i normali interlocutori. La sceneggiatura non conteneva la spiegazione in forma di dialoghi delle emozioni di John, soprattutto all'inizio del viaggio, avevamo bisogno quindi di un attore capace di comunicare una vita interiore molto profonda senza dialogo o grandi momenti di recitazione. Sapevo che James era in grado di farlo. E poi mi interessava rafforzare l'idea di un padre che aveva dedicato la propria vita interamente al figlio e che non aveva creato al di fuori altri rapporti. Mi sembrava rafforzabile nell'uso di un attore come James, bello, prestante, giovane e forte che inconsciamente o meno lo spettatore può immaginarsi in un'altra vita fatta di rapporti con delle donne e degli amici, e che invece ha un solo amore, quello verso il figlio. Tutti questi aspetti insieme, la tecnica, la fisicità e la profondità della recitazione mi hanno fatto pensare che fosse la direzione giusta.
Come in Still Life torna a parlare di morte e solitudine. Che cosa la affascina così tanto di questo tema ricorrente nelle sue storie?
Tornano per sbaglio, ambedue i film nascono dalla lettura di un giornale. Se non avessi letto quell'articolo non avrei scritto questa storia, che per caso ha qualche cosa a che fare con la morte. Se non avessi letto l'intervista con l'impiegato comunale qualche anno fa non avrei fatto Still Life, un film sulla solitudine più che sulla morte, come Nowhere special è un film sull'amore padre e figlio e su come si esprima. La morte è incidentale, non è che mi interessi, è ciò che dà valore alla vita, ma non è il soggetto del film che non comincia in un ospedale e non finisce in un cimitero.