Per iniziare la nostra recensione di Notturno, il nuovo documentario di Gianfranco Rosi presentato al Festival di Venezia 2020 in concorso e in uscita nelle sale italiane il 9 settembre, vogliamo provocare con una domanda: che cos'è un regista? Un dio che si cimenta in un atto di creazione pura o un artista che preferisce trovare la poesia nel mondo già esistente? Orson Welles avrebbe risposto che il regista dovrebbe avere come scopo principale la poesia e non la possibilità di sentirsi un demiurgo della realtà. Gianfranco Rosi, come per i suoi film precedenti, cerca di soddisfare entrambe le definizioni: i suoi film, all'apparenza documentari, sono composti anche da una buona dose di preparazione e di cura delle riprese. Così facendo è capace di creare un ibrido senza dubbio molto più appetibile per il pubblico che si ritrova di fronte a una narrazione pensata e talvolta pure recitata più adatta ai film di finzione, ma tradisce l'essenza stessa del documentario puro, quello che dovrebbe far emergere in maniera naturale la poesia invece della costruzione narrativa.
Fuochi nella notte
In Notturno non troviamo una vera e propria trama, ma una sequenza di quadri con vari protagonisti ambientati in posti diversi (anche se non viene mai specificato dove). Non che questo sia un difetto del film, sia chiaro. L'insieme è chiaramente più importante delle singole parti e se l'obiettivo di Rosi era quello di raccontare una quotidianità, che la didascalia iniziale ci definisce subito come un circolo vizioso e senza fine, in posti - sui confini di Iraq, Siria, Libano e Kurdistan - dove l'umanità si risveglia ogni giorno colpita da guerre, minacce, lutti e terrorismo, non neghiamo che sia stato raggiunto pienamente. A parere di chi scrive addirittura in misura maggiore rispetto alle sue opere precedenti, che gli hanno fatto valere un Leone d'Oro (Sacro GRA nel 2013) e un Orso d'Oro (Fuocoammare nel 2016). Notturno non è tanto una storia, quanto uno stato dell'esistenza. Si percepisce chiaramente che il film non ha intenzione di raccontare qualcosa dal punto di vista puramente narrativo, ma preferisce procedere per suggestioni, immagini, colori, suoni, ambienti. In altre parole, è interessato alla poesia. Tutte le sequenze notturne, con poche luci, con figure umane silenziose mentre sullo sfondo sentiamo i rumori delle mitragliatrici (in una sequenza il rumore si confonde con una ragazza che fuma ed è un'idea potentissima) e vediamo il cielo illuminato di rosso, sono incredibili. Se si accetta l'assenza di una trama da seguire per lasciarsi andare sulla sensazione di disorientamento, di paura, di guerra tenuta sullo sfondo e allo stesso tempo opprimente, quasi fosse un viaggio all'inferno come in Cuore di tenebra, allora Notturno merita lo schermo più grande e la sala più buia possibili.
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Alla luce del giorno
Purtroppo lo stesso non si può dire delle sequenze diurne dove Rosi, come ci ha ormai abituato, rinuncia alla "vita colta in flagrante" per raccontare una quotidianità più costruita. A causa della cura delle inquadrature, sempre precise, geometriche e attente alla composizione cromatica, e di alcune scelte stilistiche e narrative, in questi momenti il film perde la spontaneità richiesta che avrebbe contribuito ad innalzare la potenza espressiva del film risultando, in qualche occasione, pure ai limiti del buon gusto. È come se Rosi fosse consapevole dell'astrattismo della sua parte oscura e avesse deciso di far luce, alla luce del giorno, sui temi fondamentali del film. Le figure umane diventano personaggi che parlano, cantano, piangono, vivono, raccontano, ma il tutto risulta un po' troppo ordinato, didascalico, semplice e costruito. La poesia indietreggia e ne guadagna la creazione. Basata sempre su fatti reali e sulla verità di quello che ci viene mostrato, sia chiaro (e ci sono alcuni momenti parecchio forti come l'ascolto di alcuni audio mandati alla madre da parte della figlia rapita dall'ISIS), ma questo spesso e ingombrante velo che Rosi posa sul suo film finisce per interrompere quel flusso emotivo e sincero che, nelle scene notturne, riesce a raggiungere con molta più semplicità.
Nelle tenebre
Lo dicevamo prima: Notturno non è solo la rappresentazione (e la cronaca) delle notti, ma uno stato dell'anima. Una vita senza sole, coperto dalle costanti nuvole della guerra, una quotidianità oppressiva che non lascia spazio alla luce. Anzi, a dire il vero, la luce si presenta solo attraverso i riflessi, mai con fonti dirette. Le pareti, l'acqua, i pavimenti, le nuvole: sono queste alcune tra le superfici dove la luce si appoggia e si nasconde. Non sapremo mai da dove proviene la vera fonte di luce così come non potremo mai sapere quando sorgerà l'alba. Non quella quotidiana che segue la notte (anche se, va detto, nelle sequenze diurne il cielo è sempre un grigio accecante e plumbeo, non si vede mai il sole accecante), ma come la fine di questo circolo vizioso che ruota in cerchio come i soldati che marciano a inizio film. Per il momento, però, bisogna accontentarsi di quei lievi, flebili e rari raggi di sole, segreti e nascosti.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Notturno ribadiamo il suo essere un film a due facce. Quando Rosi si concentra sulle vicende umane durante le ore diurne il film appare molto costruito (in contrasto con la definizione di documentario), semplice e didascalico. Nella speranza di arrivare a un pubblico molto ampio perde molta della sua forza. Tutt’altra storia nelle ore notturne: lì il film procede per sensazioni, immagini, colori, composizioni, stati emotivi, astrattismo riuscendo ad essere un film potente, forte, da grande schermo e capace di stimolare molte più riflessioni e pensieri sulla guerra opprimente di quei posti, sull’oscurità e sulla ricerca della speranza. In quei momenti Notturno diventa un’esperienza complessa e poetica.
Perché ci piace
- L’attenzione sui colori e la composizione cromatica esalta la fruizione del grande schermo.
- Le scene in notturna sono il cuore del film: criptiche ma profonde, riflessive ma impressionanti. Un’esperienza cinematografica forte da vedere nel buio della sala, colma di poesia.
Cosa non va
- Le scene diurne pagano dazio su un’eccessiva costruzione che tradisce l’essenza dei documentari e fa perdere sincerità all’opera.
- A volte il film pecca di un eccessivo didascalismo e di una retorica urlata.