Tre anni di scene di vita quotidiana, tutte catturate in quel territorio così problematico al confine fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano. La vita quotidiana che continua ad esistere sullo sfondo della tragedia della guerra, delle dittature feroci e della violenza abominevole dell'ISIS. Storie di persone che provengono da punti diversi di un vastissimo territorio, ma di cui non conosceremo mai la localizzazione esatta, perché nel mondo raccontato da Gianfranco Rosi in Notturno i confini sono solo mentali e non geografici. "Dopo anni in quel territorio i conflitti che lo devastano continuo a non capirli," ci ha raccontato il regista "il mio film non vuole dare risposte, volevo distruggere i confini perché in un luogo come quello non esistono davvero. "
Durante la conferenza di presentazione del film a Venezia 2020, abbiamo avuto modo di parlare con Gianfranco Tosi, che alla Mostra del Cinema si è già aggiudicato il Leone d'Oro nel 2013 con Sacro GRA, approfondendo con lui il processo produttivo del suo film - in sala da oggi - e che cosa ha comportato lavorare in quell'area del mondo.
Un film senza confini
"L'idea dei confini non appartiene a quella regione, sono confini tracciati dalle potenze coloniali che non consideravano la cultura, le etnie, le radici. Questo è alla base del disastro che è avvenuto poi" ha spiegato il regista tornando alla mancanza di indicazioni geografiche nel suo film, "anche se il mio film è stato girato all'interno di confini ben precisi, dato che racconta in primo luogo la quotidianità, volevo che tutto diventasse una questione mentale, volevo che la geografia si annullasse, eliminando le separazioni, gli stati. Volevo che tutta l'attenzione fosse portata sulle storie dei personaggi, che sono in qualche modo universali. Dire dove sono girate le scene sarebbe stato troppo didascalico, ad essere importanti sono le persone. Cercavo un legame con la dimensione umana, non con quella geografica."
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L'autore ci spiega poi che alla base del suo lavoro ci sono degli elementi ricorrenti, che lo hanno guidato in tutta la sua filmografia: "Gli elementi su cui ho sempre lavorato sono la trasformazione della realtà usando il linguaggio del cinema in maniera rigorosa, valendomi dell'autorità del documentario" ha sottolineato Gianfranco Rosi, "il reale però lo trasformo in qualcos'altro, non deve esserci solo il racconto della realtà e soprattutto deve essere sempre metaforico. Io poi lavoro sempre per sottrazione, voglio trovare l'essenzialità nella storia che racconto."
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Conoscere i personaggi
Il regista ci ha poi raccontato che tipo di lavoro sul campo è stato fatto prima che iniziasse la lavorazione di Notturno e come sono state girate le diverse sequenze: "Ho parlato con i soggetti per mesi prima di girare, niente di quello che vedete nel film è fatto per caso, tutto dipende dalla mia relazione con le persone che ho incontrato, ho passato tantissimo tempo con loro prima di girare, ho creato un'intimità incredibile con i personaggi. Il film non è stato sceneggiato."
Rosi ci ha parlato inoltre delle difficoltà che un film di questo tipo ha comportato: "L'importante è sempre stato trasmettere quello che stava accadendo, non potevo nemmeno interagire con le persone perché non conoscevo la lingua, ma i personaggi per me comunicavano tantissimo. Ali, per esempio, non parlava mai, ma aveva uno sguardo che diceva tantissimo. Mi sono adattato ai suoi gesti, ai suoi ritmi. Uno dei miei momenti preferiti è il suo primo piano sul finale del film, per me racconta tantissimo: il suo futuro è sospeso, si chiede che cosa ne sarà di lui. Una sensazione simile a quella che stiamo provando tutti durante questa emergenza."
A colpire particolarmente tra le sequenze del film c'è senza dubbio quella ambientata in un ospedale psichiatrico: "Il manicomio è uno dei luoghi che ho frequentato di più per Notturno, inizialmente però non riuscivo a trovare una storia che funzionasse. Poi per fortuna ho scoperto il loro teatro, dove fanno un particolare tipo di terapia per i pazienti, recitavano una pièce che racconta il Medio Oriente. Un Medio Oriente senza confini, una Storia comune. Dopo mesi di lavoro mi sono reso conto che quell'ospedale poteva essere il fil rouge del mio film, l'opera teatrale mi è servita a raccontare la storia di quei paesi in maniera non didascalica."