Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino, la recensione della serie: Christiane F. e i suoi amici non sono più loro

La recensione di Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino: la nuova serie TV Prime Video mette in scena dei protagonisti affascinanti e sicuri di sè, lontani dalla disperazione dei personaggi originali; e anche Bowie non è quello di Berlino.

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: una foto del cast in azione

La recensione di Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino, la serie TV tratta dal famoso romanzo di Christiane F., dal 7 maggio in streaming su Prime Video, inizia in modo un po' anomalo. Siamo dove non ci saremmo mai aspettati. Su un jet privato, su nel cielo, in quello che sembra essere il continuo party di una rockstar. Una ragazza mora, con un taglio di capelli corto e asimmetrico, un rossetto rosso, si muove tranquilla mentre l'aereo attraversa una turbolenza. Si avvicina a un uomo che capiamo essere David Bowie e, sicura di sé, gli dice. "Non preoccuparti, non si schianterà. Io sono immortale". Da quel momento l'azione si sposta a dieci anni prima, capiamo di essere tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta a Berlino, il centro della storia. E, mentre ci addentriamo in essa, ascoltiamo proprio David Bowie, con Rebel Rebel. Da questi indizi capiamo che cos'è Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino. È un tentativo di attualizzare - a tratti decontestualizzare - e romanzare il crudo racconto del libro di Christiane F., e del film cult di Uli Edel che ne è stato tratto, per portarlo in una dimensione nuova. Pensato per un target preciso, lo young adult, e per essere in qualche modo seducente, il nuovo prodotto Prime Video però mescola riferimenti un po' a caso - l'uso della musica di Bowie ne è un esempio - e rischia di raffigurare il cuore della vicenda, la dipendenza da eroina, in un modo piuttosto affascinante, e a non trasmettere il pericolo che comporta farne uso.

Christiane, ma anche Stella e Babsi

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: Jana McKinnon e Lea Drinda in una scena della serie

Nella Berlino di fine anni Settanta seguiamo la storia di Christiane (Jana McKinnon), alle prese con una situazione familiare piuttosto dura: i genitori sono sul punto di separarsi e la madre inizia a frequentare altri uomini. E Christiane comincia ad aver voglia di evadere da quella situazione. È così anche per Stella (Lena Urzendowsky), che vive con la madre alcolizzata, che gestisce una birreria. E per Babsi (Lea Drinda), giovane ricca che vive con la nonna, perché la madre e lontana, e immagina di parlare con il padre, morto anni prima. Le tre ragazze legano con un gruppo di ragazzi, che le introdurrà al consumo di eroina.

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Non solo Christiane

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: una scena della serie

Come si vede, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino allarga i riflettori: il racconto non riguarda solo Christiane, come nel film, ma anche altri personaggi. Segue anche gli altri ragazzi e le altre ragazze, che sono in scena anche quando non c'è Christiane. Nel film Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino, a parte brevi momenti funzionali al racconto, tutti i personaggi vivevano in funzione sua, e apparivano sempre quando erano in relazione con lei. Questa è una cosa abbastanza naturale: il film era tratto direttamente dal libro autobiografico di Christiane F., che era il narratore, e vedeva i personaggi solo dalla sua prospettiva. Scrivendo una serie è normale scegliere più protagonisti e seguire diverse storyline. Il problema è che, in molti casi, la narrazione sembra divagare, temporeggiare, indugiare su elementi poco utili. Ma è probabile che, nel valutare questo aspetto, si venga influenzati dal film, un racconto teso, essenziale, diretto, che mostrava tutto in modo conciso e in maniera esplicita.

Apv Wir Kinder Vom Bahnhof Zoo Episodic Sound 3Constantin Television Josef Fischnaller
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: un'immagine della serie

Una Zooey Deschanel con il sorriso di Winona Ryder

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: Jana McKinnon in una scena

Al centro c'è comunque lei, Christiane. Dopo averla vista nella sua versione adulta, salva, realizzata (una groupie? Una giornalista? Una dello staff di Bowie?), sicura di sé, fa comunque una sensazione strana vederla nella sua adolescenza. La Christiane di Jana McKinnon, per quanto sia una persona in piena formazione, ci appare comunque sicura di sé, sexy, affascinante, piena di stile. Jana McKinnon è davvero bellissima: gli occhi blu, i capelli mori con la frangetta, sembra una sorta di Zooey Deschanel con il sorriso di Winona Ryder. La sua è una presenza che affascina e catalizza subito l'attenzione. Ma è anche molto distante dall'immagine che abbiamo di Christiane F., impacciata, insicura, ancora impreparata alla vita, e a quello che il suo personaggio rappresenta. La Christiane del film, con la sua fragilità, ci sembra molto più credibile come preda della droga rispetto a una figura come quella della serie.

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Questo David Bowie non è quello di Berlino

David Bowie a metà anni '70
David Bowie a metà anni '70

E la stessa cosa accade per David Bowie. Qualche settimana fa, in occasione dei 40 anni di Christiane F. - Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino, vi avevamo raccontato l'importanza di David Bowie all'interno del film: un'apparizione in prima persona, durante un concerto, ma anche una presenza costante durante tutto il racconto, un sorta di "coro" alle vicende dei ragazzi con le sue canzoni. Uli Edel aveva fatto una scelta coerente, quella di inserire le canzoni del periodo berlinese della rockstar, da Station To Station (registrato a Los Angeles ma già impregnato di suoni europei) alla Trilogia Berlinese vera e propria, Low, "Heroes" e Lodger. Aveva legato alcuni pezzi a dei momenti chiave, aveva creato dei paesaggi/stato d'animo con dei brani strumentali. Già quando ascoltiamo Rebel Rebel, all'inizio del primo episodio, capiamo che non sarà così: quella canzone è legata al periodo glam rock di Bowie, alcuni anni prima di Berlino. E così sarà per tutta la serie. La colonna sonora è una sorta di greatest hits, ed è una scelta piuttosto furba, visto che tutto quello che gira intorno a Bowie sa di leggenda. Così ascoltiamo Starman, Changes, Suffragette City, The Jean Genie, Modern Love (ma in una versione cover). Quando arriva il famoso concerto di Bowie al centro del racconto, nell'episodio 3, sentiamo anche "Heroes", ma viene presto sfumata in una cover di Chandelier di Sia, in un momento tra il reale e l'onirico, in cui Christiane prova l'eroina, da sola, nel camerino della star. David Bowie appare in alcuni camei, impersonato da Alexander Scheer, ma la sua presenza non aggiunge molto.

Una cornice un po' troppo glamour

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: il cast in una scena della serie

Tutto questo vi può aiutare a capire da che parte siamo. Se Christiane riesce a suscitare in noi, a tratti, un senso di tenerezza, non riesce, né lei né gli altri, a farci arrivare quel senso di sofferenza e di degrado in cui c'era tutto il significato del libro e del film originale. I protagonisti sono troppo glamour, troppo affascinanti. Vestono con giacche di pelle, cappotti e giacche di velluto, pellicce e hot pants, stivali alti fino al ginocchio. Potrebbero essere dei ragazzi degli anni Settanta, ma anche la band e le groupie di Almost Famous o i vampiri di Twilight. È chiaramente un voler conquistare le nuove generazioni, il pubblico young adult. Ma il rischio è grande. È quello di dare a questi tossici un'aura di fascino, una statura da eroi, mentre i personaggi originali erano tutt'altro, erano indifesi e disperati. Anche il continuo insistere di Christiane sul suo essere immortale, se da un lato è legato alla sua condizione di sopravvissuta, può suggerire che l'eroina e altre droghe non siano pericolose. Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino sembra quasi andare in direzione opposta al film di Uli Edel. È glam dove quello era sordido, è luccicante dove quello era lordo, è suadente dove quello era disperato. Il rischio è che questo stile di vita possa affascinare, dove nel film disgustava e spaventava. Ancora oggi, molti adulti che hanno letto il libro o visto il film da ragazzi ammettono che siano stati un grande deterrente verso l'uso di droghe. La nuova serie rischia di non esserlo.

Berlino, anni Ottanta, ma non solo

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Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: Lea Drinda in una scena

La storia di Christiane, poi, aveva senso in quel posto e in quell'epoca. Berlino, e il passaggio tra i Settanta e gli Ottanta, gli anni dell'eroina. La nuova serie Prime Video fa un'operazione un po' strana. Se da un lato ci porta lì, dall'altro resta un po' nel vago, tende ad astrarre, ad andare per anacronismi. Non ci sono segnali, a livello di ambientazioni e di tecnologia, di essere ai giorni nostri. Eppure, quando siamo dentro al Sound, la famosa discoteca al centro del racconto, siamo in un'atmosfera fuori dal tempo. Potrebbe essere una discoteca di oggi, e, accanto a Bowie, sentiamo house music anni Novanta e musica attuale. Anche gli abiti dei ragazzi sono abiti anni Settanta, ma alcuni look potrebbero essere quelli di oggi. Tutto questo astrae la storia del mondo in cui è nata, la decontestualizza. E, così facendo, indebolisce il messaggio. Non sentiamo così forte quel senso di pericolo, di morte, di discesa agli inferi che c'era nel film, ma anche in altre pellicole più visionarie e meno realistiche come Trainspotting, a cui certi momenti onirici ci fanno pensare. La nuova serie TV è allora un'occasione mancata, perché in quella storia c'è un potenziale enorme.

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Conclusioni

Nella recensione di Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino, vi parliamo di una serie TV che è un tentativo di attualizzare e romanzare il crudo racconto del libro di Christiane F. e del film cult di Uli Edel. Pensato per un target preciso, lo young adult, mescola riferimenti un po’ a caso e rischia di raffigurare la dipendenza da eroina in un modo piuttosto affascinante, e a non trasmettere il pericolo che comporta farne uso.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
2.3/5

Perché ci piace

  • La protagonista, Jana McKinnon, è affascinante.
  • La ricostruzione d'epoca, anche se con voluti anacronismi, è molto curata.

Cosa non va

  • I protagonisti sembrano essere troppo eleganti e sicuri di sé rispetto a quelli della storia originale.
  • Non sentiamo mai il senso di pericolo e di morte dell'eroina.
  • La musica di David Bowie è più un greatest hits che il suo repertorio "berlinese".
  • Il rischio è che si raffiguri in modo affascinante il mondo dell'eroina.