Netflix e le produzioni originali: l'aberrante “visione occasionale” che azzera la libertà artistica

Secondo n+1 Magazine gli autori incaricati dovrebbero optare per sceneggiature che facciano "spiegare" gli avvenimenti ai propri personaggi, così da intrattenere gli spettatori distratti. Per buona pace della qualità, e delle regole della narrazione.

Una scena di Squid Game 2

Sarà stato il Natale, sarà stato il successo globale di Squid Game (tanto prevedibile quanto la sua conclusione aperta, in attesa della terza stagione), ma la notizia è passata abbastanza inosservata, e poco approfondita. Il magazine indipendente n+1 ha infatti rivelato che Netflix, attraverso i propri dirigenti, starebbe spingendo gli sceneggiatori a cambiare la scrittura dei film originali, puntando a un "Non lo famo, ma lo dimo" in stile Boris. Ovvero, le sceneggiature dovrebbero prevedere dei momenti in cui i personaggi di un lungometraggio o di una serie spieghino, esplicando, cosa stanno facendo, cosa hanno fatto o cosa faranno.

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Una scena di Squid Game 2, tra i titoli più visti Netflix

Il motivo? Supportare la distrazione dello spettatore, suscitando in lui quel pizzico di attenzione che lo spinge a mantenere collegata la visione, e quindi il minutaggio speso sulla piattaforma. Lo stesso n+1 scherza, ma nemmeno poi tanto, su quanto Blockbuster puniva i clienti perché smemorati (facendo pagar un surplus per i giorni di ritardo nella riconsegna delle VHS), mentre Netflix li premia perché poco attenti. Una freddura che, spassionatamente, condividiamo, anche alla luce di una notizia che, a conti fatti, limita - o limiterebbe - marcatamente la libertà artistica degli autori.

Netflix e la visione occasionale

La notizia, tra l'altro, è estrapolata da un discorso più lungo e articolato, che si sofferma sulla mole di contenuti originali settimanali rilasciati che, spesso, sono prodotti in modo standard, sottovalutando la qualità. Per Ted Sarandos, co-CEO di Netflix, parlando nel 2022 con il New York Times, "Netflix sta cercando di creare una biblioteca per compensare il fatto di non avere novant'anni di narrazione". Di conseguenza, servono prodotti e non film, assottigliando (e quasi azzerando) il rilascio di opere di qualità o indipendenti (basti pensare alla ormai quasi totale assenza di titoli adatti alla Award Season, superati i fasti di Roma o di Storia di un matrimonio).

Irish Wish 6
Irish Wish - Solo un desiderio: Lindsay Lohan in una scena del film

Su n+1 viene poi rivelato che gli sceneggiatori, rilasciando una nota comune ma anonima al magazine, hanno confermato quanto Netflix voglia puntare sulla "visione occasionale" da tenere in sottofondo mentre si fa altro. A dire il vero, un esempio palese che viene citato è quello di Irish Wish - Solo un desiderio con Lindsay Lohan (nemmeno a dirlo, piazzatosi subito in top 10) in cui c'è uno scambio di battute che va oltre il didascalico, rivelandosi come il riassunto di momenti che dovrebbero essere nevralgici o, cinematograficamente parlando, mostrati senza spiegazione. Irish Wish fa parte di quelle opere volutamente realizzate per essere viste senza attenzione (e dentro ci inseriamo anche Carry-On, rimpinzato da continue spiegazioni), dopo aver acchiappato gli spettatori dopo i fatidici primi cinque minuti.

Squid Game 2 è il figlio perfetto dell'algoritmo

Lo streaming è diventato televisione generalista

Dalla nostra parte, l'abbiamo scritto e detto tante volte: oggi lo streaming non è più il rivale del cinema, in quanto sta cercando di accaparrarsi - dopo un ondivago numero di abbonati - il pubblico della televisione generalista. La stessa tv che, di spiegoni, se ne intende, e che come Netflix ragiona di share. Le visualizzazioni streaming, infatti, sono una summa di vari elementi: le ore di visioni, e poi gli utenti che si ritrovano a vedere un titolo o una serie per pochi secondi, il tempo della riproduzione automatica, o la visualizzazione a 1.5x.

Se è una scelta lecita (ci mancherebbe), per n+1 - e chi scrive si sente di condividere il concetto - l'elevata produzione non giustifica la bassa qualità (perché non compensare, bilanciando o magari puntando in una certa parte anche a titoli di "fascia alta"?). Effettivamente, viene spiegato che tra gli anni Venti e Trenta, Paramount e Warner producevano oltre settanta film l'anno, ma, come sottolineato, gli studios puntavano a un business che premiasse la qualità. Solo questo dovrebbe far luce sul modello distributivo di Netflix (e di altre piattaforme): mirare a un casual viewing agganciato sempre (e soltanto) alla solita struttura. Stesso montaggio, stessa illuminazione, stessa soundtrack. Stesso algoritmo. Per il resto, "Non lo famo, ma lo dimo".