Delia è una nutrizionista che si è rovinata l'animo e i denti vomitando tutto quello che mangiava. Gaetano è un aspirante sceneggiatore di umili origini che sogna il mondo del cinema. L'anoressia di lei e le frustrazioni di lui sembrano finalmente placarsi quando i due si incontrano: il loro amore è fulminante, tanto da spingerli a costruirsi presto una famiglia. Quella che però sembrava una storia fondata sulla passione destinata a resistere al tempo, si trasforma invece in una relazione fatta di malumori e tradimenti, di ripicche e rancori, che riporta Delia sulla via dell'anoressia e Gaetano ad allontanarsi sempre di più.
Tratto dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo è la quinta pellicola da regista di Sergio Castellitto, la terza ispirata a un libro della moglie. La coppia questa volta ha messo in scena una danza tra due personaggi che prima si incontrano, poi si amano e infine si fanno del male, scandita da una cena in un ristorante del centro di Roma in cui tutte le carte sono messe sul tavolo e che segna per sempre il destino di Delia e Gaetano.
Abbiamo incontrato gli interpreti Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio e il regista Sergio Castellitto, che ci hanno parlato di Nessuno si salva da solo, dal cinque marzo nelle sale italiane.
Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio sono Delia e Gaetano
Come è stato affrontare il personaggio di Delia, vittima dell'anoressia e di molte paure? È stato un percorso difficile anche dal punto di vista fisico?
Jasmine Trinca: Non sono davvero dimagrita, ma il cambiamento c'è stato, soprattutto dal punto di vista psicologico: Delia prima è fragile, poi sembra una guerriera. L'anoressica è una che chiude la bocca perché in realtà vorrebbe mangiare il mondo: nel caso di Delia la causa va ricercata nel suo rapporto con gli affetti, nella relazione con la madre e ovviamente con Gaetano. Grazie a lui lei riesce a riaprirsi, torna ad aprire la bocca, riaccoglie il cibo, i suoi baci, poi quando questo amore va in crisi la bocca si richiude.
**Nel film Gaetano dice "è meglio insegnare ai figli a vivere che ad amare": secondo voi è vero?
Riccardo Scamarcio: È meglio insegnare ai figli ad amare.
Jasmine Trinca: Anche perché come si fa a insegnare a vivere? L'amore potrebbe essere il fondamento della vita: è la vita che scorre. Io a mia figlia, che ha sei anni, dico sempre che sono contenta di passare del tempo con lei: trovo sia importante.
Delia ha problemi con il cibo, ma anche Gaetano non è un personaggio tranquillo.
Riccardo Scamarcio: Il personaggio vive una frustrazione personale, di affermazione personale: Delia ha problemi con il cibo, Gaetano vive la sua inquietudine per non essersi realizzato. Questi personaggi non sono eroici, sono imperfetti, lui però comunque cerca di risolvere i problemi, a volte anche in maniera cinica, quindi, anche se è un po' superficiale, alla fine credo sia un personaggio positivo.
Perché secondo lei Gaetano tradisce Delia nonostante la ami? L'insoddisfazione personale mina la relazione: questo porta Gaetano al tradimento, con una persona che è l'opposto di Delia. Quando ci si conosce da tanti anni si tende a dare per scontate le reazioni di chi ci sta accanto e si crea quindi una sensazione di ingabbiamento. Sorprendere e sedurre sempre l'altro è difficile, soprattutto dopo tanto tempo.
Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, un sodalizio artistico che resiste nel tempo
Questa è la sua terza pellicola tratta da un romanzo di sua moglie, Margaret Mazzantini, con cui ha scritto anche la sceneggiatura degli altri due suoi film: come mai questo sodalizio artistico tra voi è così forte?
Sergio Castellitto: È sempre stato così, la scrittura è compito di Margaret, infatti nei titoli ho messo "scritto da", non "sceneggiatura". Io sono più l'operaio e lei è Pininfarina: la conoscenza che lei ha dei personaggi è assoluta, infatti faccio sempre leggere il libro a tutta la troupe. Lei sa tutto, anche come devono essere i bottoni dei cappotti. Quando mi viene dato il copione lo apro, lo chiudo, ci lavoro, lo modifico. Posso spaziare su una sceneggiatura che già ti risolve l'ottanta per cento del lavoro, ma in cui comunque infondo il mio sguardo. Un giardino finito è un giardino morto. Dentro il giardino di Margaret mi muovo a mio agio perché il cinema secondo me soprattutto si scrive, poi si fa il resto.
Cosa l'ha spinta a scegliere questa storia? Il film è tratto dal libro di Margaret dove c'è meno preoccupazione per la trama, l'importante è la relazione tra i personaggi. È un film a cui abbiamo pensato molto tempo dopo che lei lo ha scritto, circa quattro anni fa. Tutto è nato da una frase del romanzo che mi ha molto colpito, che dice "è un errore pensare di trovare tutto in una persona": da qui ho costruito tutto. In Nessuno si salva da solo c'è meno storia rispetto agli altri romanzi che ho portato al cinema, ma comunque il film riesce a essere vicino a tutti, soprattutto ai trentacinque-quarantenni, che vivono mai come oggi un forte senso di inadeguatezza. E forse la storia può colpire anche un ventenne, che magari la segue con preoccupazione perché vede il suo futuro.
I trentacinquenni insoddisfatti di Castellitto
Quanto si è fatto coinvolgere dalla storia dei protagonisti?
Da regista sono il primo spettatore del film, vado sul set con un atteggiamento privo di sovrastrutture: spesso vedo delle scene e piango. Quando mi succede controllo sempre la reazione del macchinista, se si commuove anche lui è un buon segno.
Perché ha scelto come interpreti Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio?
Volevo mettere in scena la fragilità dei trentacinquenni e loro si adattavano ai personaggi. Recitare ti permette di capire qualcosa di te stesso, i personaggi costruiti bene sono come delle finestre aperte. Il mio film è anche un film politico, si parla in maniera intimista della crisi che ha modificato la sessualità delle persone che ormai sono depresse. La famiglia è la cellula germinale della società e con la crisi è in pericolo.
Lei parla di inadeguatezza e crisi: ma i suoi personaggi più che impegnarsi concretamente per migliorare la propria vita, inseguono vagamente il sogno di essere degli artisti. Pensa sia un problema delle ultime generazioni?
Essere un artista significa accettare di camminare sul precipizio: l'importante è capire, e lo dico sempre ai giovani, se si ha del talento, se ce l'hai puoi essere disposto a soffrire. A volte il talento è anche incompreso.
Villaggio Olimpico e un cameo alla Hitchcock
Il film ha una struttura particolare, in cui a scandire il tempo è il dialogo tra i due protagonisti
Il film ha una struttura teatrale, è costruito a scene. E mi sono concesso un cameo alla Hitchcock.
Perché ha scelto di far vivere i suoi protagonisti nel quartiere Villaggio Olimpico?
Il Villaggio Olimpico nasce negli anni '60 come speranza nel futuro, era stato fatto per i giovani, dopo è diventato una specie di Bronx che però sta a cinquecento metri dal quartiere Parioli, la zona più in di Roma, e poi è stato riqualificato dalla costruzione dell'Auditorium. Era la scelta ideale per raccontare la storia dei due protagonisti.
La musica e la prima volta di Roberto Vecchioni come attore
Come mai ha scelto di coinvolgere Roberto Vecchioni come attore? E quanto è importante la scelta delle musiche?
La scelta delle musiche è stata fondamentale: ci sono Tom Waits, Leonard Cohen, Minghi, Dalla. La struttura del film doveva essere come quella di una canzone, la scena del ristorante è il ritornello. Per quanto riguarda Vecchioni, molti attori avrebbero interpretato quel ruolo con sapienza, lui invece era puro, fresco, non l'aveva mai fatto. Per me il film finisce quando lui sbatte la bottiglia sul tavolo: mi piace pensare che tutto quello che succede dopo sia un sogno.