Storia di femminilità spezzate e di strappi, perdite, lutti. Con Naufragi Stefano Chiantini torna al cinema che gli è più affine, quello dell'essenzialità, delle emozioni, delle atmosfere e cuce l'intero film addosso a Micaela Ramazzotti: "Inizialmente la mia era solo un'ambizione, una velleità e non sapevo se avrebbe accettato", dice durante la presentazione alla stampa. "Ho scritto pensando a lei - ammette - Poi conoscendola ho colto anche alcuni aspetti personali come l'emotività, la forza, la fragilità e la passione e li ho portati dentro il personaggio del film". L'attrice interpreta Maria, una donna irrisolta, complessa, con due figli, un amore incondizionato per suo marito Antonio e l'incoscienza di una bambina, tanto quanto basta per convincere gli assistenti sociali a starle con il fiato sul collo. Maria non ha un lavoro, la famiglia deve andare avanti contando sul solo stipendio di Antonio, fino a quando un tragico incidente sul lavoro non se lo porterà via costringendola a lottare con tutta se stessa per salvare il suo piccolo mondo, sempre in bilico e straordinariamente fatto di semplicità. In autunno grazie a un piccolo tour nelle sale, sarà possibile vedere il film anche al cinema, per il momento ci si dovrà accontentare di guardarlo sulle principali piattaforme streaming dal 9 luglio e dal 16 anche su Sky.
Micaela Ramazzotti, madre bambina
Non ci è voluto molto a convincere Micaela Ramazzotti ad accettare il ruolo di Maria. L'affascinava il fatto che fosse una donna "nata storta, una buona a nulla, un'inetta", spiega. "Ha dentro un male di vivere perché è bambina insieme ai suoi figli, ha paura di affrontare la vita, anche le piccole cose e se arrivano i grandi traumi nasconde la testa sotto al cuscino". Per l'attrice Maria è un regalo autentico, succede sempre quando incontra "personaggi così vulnerabili e nello stesso tempo fantasiosi, stravaganti e bizzarri. Mi piace mettere luce su certe persone, ho l'inclinazione ad amare chi ha debolezze e paura di vivere". In questo caso si è lasciata guidare dal regista e dai film di Lars Von Trier, come Le onde del destino che ha visto e rivisto diverse volte, e di Cassavetes: "Sono appassionata di tutti quegli autori che raccontano le debolezze umane. Con Naufragi Stefano ha rappresentato il lutto in modo che arrivi piano piano, lo svela dolcemente, è un approccio anche lieto alla morte e di grande speranza".
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Il set del film si è interrotto a marzo 2020 con lo scoppio della pandemia, ma è stato anche il primo a riprendere: "Abbiamo girato in ordine cronologico e questo mi ha aiutata. Con Stefano parlavamo spesso di come fare Maria, a volte mi trovavo anche a perdermi dentro di lei", racconta. Il risultato è una interpretazione sincera e misurata, interamente costruita su un lavoro di sottrazione: "Mi sono lasciata andare e mi sono divertita a togliere, soprattutto nella seconda parte del film. Non mi era mai capitato di lavorare così tanto in sottrazione". Non le piace definirla una donna fragile, piuttosto "bizzarra, stravagante, fantasiosa. Maria è una bambina, scappa dalle responsabilità sociali, non vuole avere a che fare neanche con le bollette di casa, piuttosto le strappa. Vive una maternità quasi da sorella maggiore, ma screanzata; è come se avesse un disturbo dissociativo. L'ho analizzata molto ed è come se soffrisse di una mancata integrazione tra coscienza, pensieri, identità, memoria, realtà e comportamento. È un personaggio rotondo e pieno di sfaccettature, appartiene a un tipo di donne molto coraggiose, non cade a tappeto, ma in ginocchio e riesce a rialzarsi e a dare speranza, nonostante tutto". È una mamma bambina "incapace di essere altro, un animaletto, una creatura pura, reagisce come un animale selvaggio", conclude.
I luoghi non luoghi della provincia meccanica
Non conosciamo il passato di Maria quando la incontriamo e non lo scopriremo neanche nel corso del film, ma se Micaela prova a immaginare la sua back story, le viene subito in mente "una figlia di circensi o di una comune hippy". Mentre scriveva Stefano Chiantini si è spesso chiesto da dove venisse e che mondo ci fosse prima dello spaccato che aveva deciso di raccontare, ma alla fine ha scelto "di non dare troppe spiegazioni e scardinare il bisogno convenzionale di mettere in scena tutto ciò che si nasconde dietro a un personaggio. Ho immaginato un 'pre', ma ho deciso di non mostrarlo perché non sentivo il bisogno di raccontare quello che c'era intorno a Maria". Difficile dire cosa di preciso lo abbia ispirato: "La mia scrittura nasce gradualmente, ci sono situazioni intorno a me che osservo, metabolizzo, nascondo e poi ritiro fuori. Ma non è facile identificare l'episodio specifico da cui è partito tutto, volevo raccontare un animo umano femminile alle prese con l'elaborazione del lutto e con il bisogno di sopravvivere. Credo sia stato qualcosa che si è sedimentato in me con il tempo e poi ha preso forma", spiega. Naufragi è ambientato in un Lazio non luogo, in una cittadina non meglio precisata che, rivela il regista, "è Civitavecchia, anche se non la cito mai, perché mi pace raccontare dei non luoghi senza identificarli. Sono attratto da città di provincia 'meccanica' con le luci della centrale elettrica sullo sfondo e i fabbricati in metallo, segno di un progresso mai arrivato e già diventato passato senza essere presente".
Sono tutti luoghi dell'anima: "Ogni film per me è qualcosa di molto viscerale e quindi lo sono anche i posti in cui giro, mi piace raccontarli come fossero teatri di posa, una messa in campo dell'animo nel quale i personaggi fanno rumore. Da un po' di tempo non uso più comparse, le poche persone che ci sono le rubo dal vivo, cerco di assecondare il racconto eliminando tutto ciò che è messa in scena, per mettermi al servizio della storia e delle emozioni", precisa Chiantini che nel film evoca anche alcune tematiche sociali, come la morte sul lavoro o l'assistenza sociale, tenendole però ai margini della storia, perché "tutto doveva essere funzionale al racconto delle emozioni della protagonista. Nella prima fase di scrittura avevo raccolto molte informazioni sulle morti sul lavoro, ma non volevo che il tema prendesse il sopravvento, mi sono reso conto via via che avrebbe assunto troppa importanza rispetto a quello che volevo raccontare".
Tutto ciò che vediamo nel film è comunque il frutto di studi e indagini, anche se Chiantini mette da parte qualsiasi velleità di denuncia sociale, per fare spazio "solo all'esigenza di raccontare l'animo di una donna che vive una situazione di naufragi continui. Tutto il resto era marginale".