Recensione Mongol (2007)

Storia ed intrattenimento abilmente mescolati per il film di Sergei Bodrov, che si avvale di un fascino visivo e di una fisicità che lasciano il segno.

Nascita e ascesa di una leggenda

Una grande co-produzione internazionale per un film che mescola abilmente storia ed intrattenimento. È questo, in estrema sintesi, Mongol, nuova pellicola del regista russo Sergei Bodrov (di lui si ricordi Il prigioniero del Caucaso, già candidato agli Oscar) incentrata sulla vita del condottiero e sovrano mongolo Gengis Khan. Il film condensa in due ore una parte importante della vita del leggendario imperatore, quella che va dall'infanzia alla conquista del potere e all'unificazione dello stato mongolo, passando per la schiavitù e lo scontro con il fratello di sangue Jamukha. La sceneggiatura integra le informazioni storiche presenti nel testo La storia segreta dei Mongoli, poema risalente a pochi anni dopo la morte del sovrano, con quelle carpite dal libro La leggenda della freccia nera, scritto dallo storico russo Lev Gumilev. Il risultato è un affresco visivamente potente, di notevole fascino estetico, che si sforza di dare un ritratto sfaccettato e imparziale di un personaggio fondamentale per il periodo preso in esame (gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo), con un occhio sempre presente alle esigenze spettacolari che possano rendere appetibile il film per il grande pubblico.

Mongol può essere visto in effetti, a prescindere dalla sua accuratezza storica (difficile da valutare data la scarsità di documenti disponibili), come un ottimo prodotto di intrattenimento, in cui lo spettatore viene trasportato in un universo barbaro e affascinante, e in cui la prospettiva storica è sempre filtrata attraverso l'ottica della leggenda e di un meravigliato senso di avventura. Temugin (questo il vero nome del futuro imperatore) è in effetti un personaggio che racchiude in sé tutti gli archetipi eroici che il cinema ci ha consegnato da un secolo a questa parte, prima ragazzino che giura vendetta ai suoi nemici, poi condottiero coraggioso e leale, infine sovrano di un popolo che grazie a lui ha avuto il suo riscatto. Lo stesso motivo dell'opposizione tra il protagonista e il suo fratello di sangue, inseparabili amici di infanzia che l'età adulta porta su sponde opposte, è un tema da sempre caro al cinema di avventura di tutte le latitudini, mentre la storia d'amore con la sposa conosciuta da bambina è un tema che attraversa tutto il film, rappresentandone uno degli elementi centrali e che più ne determinano la carica emotiva.
Le sequenze d'azione sono quanto di più crudo e realistico il cinema ci abbia mostrato negli ultimi anni (un paragone in questo senso può essere fatto solo con Seven Swords di Tsui Hark, con cui curiosamente il film di Bodrov condivide l'attore Sun Honglei - qui nel ruolo di Jamukha). Sangue e sudore, terra e sporcizia: ci sono tutti gli ingredienti di un cinema storico/avventuroso intriso di fisicità, in cui la graficità della messa in scena contribuisce alla definizione di un contesto e di un intero universo.

Il fascino delle scenografie naturali, le sconfinate distese della steppa ricreate in esterni situati tra Cina, Kazakistan e Mongolia, contribuisce insieme alla buona fotografia, di stampo naturalistico, a donare al film il senso di epicità che lo permea fino in fondo. Non va dimenticata la buona caratterizzazione del protagonista da parte di Tadanobu Asano (attore giapponese già diretto da Takeshi Kitano, Kiyoshi Kurosawa e Shinya Tsukamoto), che non sembra avere imbarazzi di sorta nell'interpretare una figura centrale della storia mongola: pare anzi che i giapponesi considerino Gengis Khan come uno di loro, un guerriero nipponico fuggito in Mongolia prima di diventare il personaggio che tutti conoscono. E poi, in fondo, la "globalizzazione" del cinema e degli attori orientali ha fatto di peggio: basti ricordare, tanto per fare un titolo, Memorie di una Geisha.

Movieplayer.it

3.0/5