"Plata o plomo?" Soldi o piombo, queste erano le alternative che Pablo Emilio Escobar Gaviria offriva a chiunque lo intralciasse. Un modo di trattare diretto e coinvincente che in poco tempo gli permise di creare il cartello di Medellìn, un'industria in grado di generare ogni giorno profitti per 60 milioni di dollari, controllare gran parte della produzione ed esportazione di cocaina e comandare un piccolo esercito.
Tra tutte le parabole criminali, la sua è forse una delle più famose. Escobar è stato il primo vero supercriminale della storia, era il Robin Hood paisà che da un lato sosteneva i più poveri e dall'altro ostentava uno stile di vita estremo fatto di ville, zoo personale e, quando decise di costituirsi, una prigione personale costruita appositamente per lui, La Catedral, con tanto di casinò e campi da calcio. Figlio di umili origini ma con grandi ambizioni ha sempre cercato di comprare il riscatto sociale attraverso la ricchezza: "Al perro que tiene dinero, se le dice, Señor Perro". La sua corsa verso il successo non ammetteva arresti di sorta e per raggiungere i suoi obiettivi non ha tentennato neanche di fronte a decisioni estreme come l'assedio della Corte Suprema Colombiana per distruggere documenti scottanti o la bomba sul volo Avianca 203 per uccidere il presidente che costò la vita a 110 persone. Inevitabile che il cinema ne facesse una maschera, l'impersonificazione del male, un personaggio controverso e unico del quale basta raccontare le incredibili gesta per lasciare tutti a bocca aperta. Non sorprende quindi lo stupore di molti davanti a Narcos , la serie che Netflix ha dedicato a Pablo Escobar, che adotta invece un approccio totalmente differente per raccontarci la storia della Colombia sanguinaria, molto più documentario che spettacolo, molto più storia che leggenda.
Dalle Favelas a Medellin
Dietro la cinepresa troviamo José Padilha, regista brasiliano famoso per Tropa de Elite - Gli squadroni della morte, che pur essendo un esperto nelle scene d'azione, ha confezionato un prodotto fatto soprattutto di dialoghi, ritmi lenti, colori tenui, inquadrature da cartolina e filmati d'epoca. Del resto ci sono molti modi per raccontare una vita assurda come quella di Escobar e Padilha ha scelto quello più difficile, senza mai cadere vittima di spettacolarizzazioni non necessarie ai fini narrativi. Non è una storia in cui i buoni e coraggiosi americani salvano il paese dal cattivo di turno, ma il racconto di una delicata vicenda che alterna momenti estremamente calmi a brutalità improvvise, da entrambi i lati della barricata. Il dualismo di fronte, ma anche culturale, è reso ancora più forte dalla scelta di far recitare gli attori sudamericani in lingua originale anzichè in inglese. Una mossa radicale questa - alcune puntate sono al 70% in spagnolo - che da una parte evidenzia l'attenzione di Netflix a un pubblico nuovo rispetto alla classica audience statunitense e dall'altra contribuisce a creare dialoghi e situazioni più realistiche.
Grazie anche alla scrittura di Chris Brancato e Paul Eckstein, due veterani del settore, Narcos ha infatti tutto il ritmo e la pacatezza del Sud America. Non vive di accelerazioni, ma di pause, e proprio questo contrasto rende più evidenti e dure le sequenze violente. Non è Scarface, non è Blow, non è solo una carrellata di sparatorie, cocaina, soldi e belle donne, inutile quindi aspettarsi una di quelle storie in cui si finisce per tifare per la simpatica canaglia dalla battuta pronta. E' piuttosto una sorta di documentario romanzato con i toni caldi del tramonto che cerca di darci un ritratto umano del personaggio Escobar e dell'uomo Pablo, delle sue ambizioni, dei suoi errori, della sua cerchia di amici e di quelli che hanno cercato a tutti i costi di catturarlo. Per renderci conto di come gli autori abbiano lavorato di sottrazione, basta pensare al fatto che mentre solitamente si tende a esagerare nella messa in scena dei momenti più cruenti o scabrosi per alzare gli indici d'ascolto, in Narcos ci sono scene in cui quello che viene rappresentato sullo schermo è paradossalmente meno cruento di ciò che è avvenuto realmente. A fare entrare la serie ancora di più nella storia contribuisce l'eccellente ricostruzione di costumi, auto, armi, acconciature, make-up e tanti altri dettagli dell'epoca, inoltre, tutta il serial fa ampio uso di luce naturale e di una color correction che riporta alla mente le foto e i filmati di quel periodo.
I buoni e i cattivi
C'è poi una voce fuori campo, quella dell'agente della DEA Steve Murphy, che accompagna lo spettatore nel racconto della storia di Narcos con una narrazione in stile Quei bravi ragazzi. Murphy, insieme al collega Javier Peña, fu uno dei protagonisti della caccia all'uomo e fece di Escobar un'ossessione che lo spinse ad avventurarsi in quella zona grigia che da sempre ha caratterizzato l'operato degli Stati Uniti in Sudamerica. Ad interpretare i due poliziotti ci pensano Boyd Holbrook, già visto in L'amore bugiardo - Gone Girl, e Pedro Pascal che ha da poco tolto i panni di Oberyn Martell in Il trono di spade. I due pur cadendo in alcuni cliché del "buddy cop movie" mettono in scena un'interessante coppia di detective che agiscono con lo stesso obiettivo ma secondo metodi diametralmente opposti e incarnano perfettamente il compromesso di chi si trovava in quegli anni a operare in sudamerica. Holbrook, col suo accento da western e la sua faccia da mid-class americana è perfetto nella parte del classico pesce fuor d'acqua che deve imparare a nuotare con gli squali, mentre Pascal col suo baffetto ha i modi di chi da tempo vive in un Paese corrotto e traboccante di omicidi.
A vestire i panni di "El Patron" troviamo invece un insospettabile Wagner Moura, attore brasiliano già visto in Elysium, ma soprattutto in quel Tropa d'Elite che ha consacrato Padilha, che per l'occasione ha svolto un importante lavoro di immedesimazione. Per entrare nel ruolo Moura ha dovuto prendere peso, imparare lo spagnolo e ha passato molto tempo in Barrio Pablo Escobar, il quartiere popolare fatto costruire a Medellìn proprio dal narcotrafficante. La sua interpretazione ci restituisce un Escobar perfetto, in tutte le sue contraddizioni. Da una parte abbiamo un uomo normale, con la pancia, dall'aspetto decisamente poco aggressivo, che vede se' stesso come una sorta di liberatore del popolo, di giustiziere, che cerca in tutti modi l'affermazione dei privilegi legati al suo nuovo stato sociale. Dall'altra abbiamo uno stratega sopraffino, dotato di una morale tutta sua e di un carisma unico, in grado di ordinare un omicidio al telefono mentre registra su nastro una fiaba da mandare ai figli.
Il calderone del Sudamerica
Se proprio dobbiamo trovare un difetto in Narcos, questo sta nel fatto che pur avendo a disposizione uno scenario incredibilmente vasto e complicato come quello dell'America del Sud negli anni '80 la serie TV si concentra su Escobar trattando in maniera abbastanza sommaria gli interessanti intrecci tra CIA, Narcos, DEA, movimenti rivoluzionari e dittature. Non sappiamo se sia dovuto al fatto che un approfondimento di questo tipo avrebbe reso le cose troppo complesse, ma avrebbe senza dubbio reso più avvincenti le parti investigative e tratteggiato meglio lo scenario intorno alla figura di Pablo Escobar. Così facendo invece le parti più interessanti sono quelle a lui dedicate, mentre il resto sembra più un contorno necessario solo a stimolare la sua prossima mossa. Inoltre, pur essendo una storia ricca di personaggi femminili, ne manca uno che esca dal cliché della donna del boss o della persona fragile da proteggere. Solo il personaggio della guerrigliera tenta di essere qualcosa di più, ma viene congedata prima di poter esprimere il proprio potenziale.
Le ragioni dietro la violenza
Narcos è senza dubbio una serie atipica per il giorno d'oggi. Il suo ritmo compassato, la parsimonia con cui gestisce le scene d'azione o di nudo, il suo affidarsi quasi del tutto ai dialoghi non la rendono indicata a chi si aspetta un gangster movie. Questo non vuol dire però che sia una serie debole, tutt'altro, perché racconta una storia incredibile e piena di violenza, ma lo fa diluendo la parte più brutale in un racconto che cerca di mostrare i motivi che portarono un criminale dalla provincia di Rionegro alla classifica di Forbes dei dieci uomini più ricchi del pianeta.
Movieplayer.it
4.5/5