Un'opera prima per un interprete non nasce sempre da una necessità di passare dall'altra parte della macchina da presa dopo vari anni di esperienza. Ne stiamo vedendo tante di prime volte alla Festa del Cinema di Roma 2023 e quasi tutte al femminile. Sicuramente nel sottoinsieme qui descritto rientra Mur, il documentario di Kasia Smutniak che dopo l'anteprima mondiale a Toronto e la presentazione alla Festa di Roma è al cinema dal 20 ottobre distribuito da Luce Cinecittà - dato interessante, da dicembre sarà distribuito anche in Polonia.
Abbiamo incontrato l'attrice e ora anche regista che ci ha spiegato questo salto: "Il progetto nasce da un mio disperato bisogno di mettere luce su una situazione che si stava creando, poter prendere parte a qualcosa di epocale che stava accadendo. Non sono una reporter, non sono un medico e nemmeno un politico, quindi questo era l'unico modo per entrarci, perché nemmeno contattando Amnesty International, avvocati, europarlamentari ci ero riuscita. Mi sentivo impotente rispetto a quanto stava accadendo e così è nato il mio primo viaggio con Diego Bianchi per il reportage realizzato per Propaganda Live, da semi giornalista di origine polacca ho potuto accedere alla zona rossa, altrimenti chiusa ai più".
Tutto parte da un muro
Fin dal titolo, MUR, la pellicola inizia e finisce con un muro, un simbolismo interessante, storico e tristemente attuale scelto da Kasia Smutniak per la sua prima volta dietro la telecamera: "Il muro ha determinato tutta la mia vita volente o nolente, nel mio Paese d'origine stava partendo la costruzione del muro più costoso d'Europa nell'intento di fermare i migranti. 186 chilometri di acciaio alto sei metri, ciò ha avuto un impatto forte su quello che sono oggi, sull'immaginario che avevo di un'Europa aperta. Il documentario è stato l'occasione per esplorare altri muri della mia vita, a partire da quello che si trova di fronte alla finestra della cucina di mia nonna, fatto di mattoni, del cimitero ebraico all'interno del ghetto, uno dei più grandi al mondo. È il posto dove sono cresciuta e guarda caso di fronte c'era un muro a scandire i periodi in cui andavo a trovare i miei nonni, con gli alberi che crescevano, gli edifici che sorgevano e così via". Mur segue Green Border di Agnieszka Holland, inizialmente ostracizzato anche in patria ma di enorme successo al botteghino che trattava lo stesso fenomeno: "È un progetto che ho seguito dall'inizio, girato un anno dopo di me, un film di finzione che si basa sui fatti reali, sono due interessanti partner in crime perché sono complementari e compatibili".
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Le elezioni in Polonia
Siamo freschi dai risultati elettorali in Polonia e Smutniak dice la sua in proposito: "C'è stato il 74% di affluenza alle urne, soprattutto donne e giovani tra i 18 e 30 anni. Noi cittadini siamo abituati a pensare di non poter incidere sul risultato dl voto ma non è vero, siamo un popolo impigrito, siamo quella generazione a cui tutto sembra inutile, ma qui abbiamo la dimostrazione del contrario, se ce la facciamo in Polonia a dare questo esempio, possono seguirlo tutti".
"Un muro oggi non ferma assolutamente nessuno con la sua costruzione, nonostante il disastro ambientale arrecato e l'ingente investimento economico. Il mondo purtroppo va in una direzione di chiusura ed è l'ennesima dimostrazione pochi giorni l'inizio di un nuovo difficile conflitto in quelle zone che i muri portano delle conseguenze precise dato che hanno l'obiettivo di dividere i popoli. Mi sono rimaste impresse le parole di una studiosa del ghetto ebraico che mi fece capire come le persone che hanno studiato la Shoah hanno ovviamente un punto di vista diverso da chi l'ha vissuta, ma è come se le generazioni successive si portassero dietro anche le esperienze che non hanno vissuto in prima persona, come i campi di concentramento, una specie di trauma che viene tramandato nelle generazioni. Anche la terra ha una memoria e la Polonia non fa eccezione". Continua poi l'attrice ora anche regista: "Non vengo da una famiglia ebraica ma ci siamo ritrovati in quella zona, cresciuti vicino al ghetto, anzi in edifici comunisti costruiti sulle macerie di un ghetto, è incredibile pensare che la stazione da dove partivano i convogli per i campi di concentramento sia quella che io frequentavo da ragazzina".
La disumanizzazione
All'inizio di Mur c'è la frase: 'Gli animali sono più importanti degli esseri umani'. La disumanizzazione al centro del doc. è qualcosa con cui misurarsi per la Smutniak: "Era una sensazione che non riuscivo a decifrare ma che al contempo sentivo familiare, al mio primo viaggio con Propaganda Live mi sarei aspettata un grandissimo movimento, il cosiddetto giornalismo d'assalto arrivato in massa per raccontare questa grande ingiustizia, e invece non c'era nessuno, quel silenzio mi lasciò basita. Non amo particolarmente le poesie ma c'è n'è una in particolare che mi è rimasta impressa di un'autrice polacca che si intitola Campo di fiori, che ho studiato a scuola, che parla di un gruppo di ragazzi che si divertono e di due innamorati vicino a un parco giochi e vicino al muro del ghetto di Varsavia. Ci ricorda l'atrocità della vita, l'importanza alla memoria, quello che è la nostra storia per capire il nostro presente e la nostra attualità". Ma qual è il trucco di questo incredibile viaggio dietro le quinte? "È stato merito soprattutto di un pass da (semi)giornalista, l'unico modo era raccontarlo da dentro - volevo girare in maniera leggera senza troupe, abbiamo usato smartphone e la macchina da presa dove potevo, chiedevo anche a mio marito e mio figlio di girare ogni tanto, alle persone che incontravo come quando sono in volo e faccio riprendere al pilota divenuto operatore inconsapevole, a volte lo facevo io stessa. Volevo però avere una compagna di viaggio che è stata Marella Bombini, mia co-autrice e poi diventata anche operatrice, mi serviva un punto di vista esterno, crudo e sincero. Abbiamo scelto di non far vedere i migranti nel film e di utilizzare una prospettiva (la mia) non in prima linea ma in seconda o terza fila, da spettatrice".
Doppia, tripla identità
Il film però è anche un viaggio introspettivo per Kasia Smutniak, che recupera le proprie origini e la propria infanzia e ha potuto recitare in polacco. Non dev'essere stato semplice vivere questa tripla identità - da polacca, italiana ed europea - durante la lavorazione del doc. "Sono ovunque e da nessuna parte, provo un costante senso di colpa perché sono stata fortunata, quella di andarmene è stata una mia scelta. Poi ho assistito a quanto stava accadendo nel mio Paese soprattutto da fuori, stando qui in Italia, e molti miei amici me lo hanno rimproverato. Non davo a me stessa il permesso di intervenire in un certo senso. Ma quando donne e bambini hanno iniziato a morire nei boschi, la situazione si è fatta sempre più reale, allo stesso tempo però li disumanizzava in un certo senso, non permetteva moralmente a chi poteva aiutare queste persone di farlo. L'abbiamo già vissuta nella nostra Storia, forse la pagina più pietrificante della Storia con la s maiuscola. Io stessa ho assistito alla genesi del Male in quei boschi. Un trauma, un muro, da cui sono partita e che non sapevo dove mi avrebbe portata. La prima domanda che facevo a tutti gli intervistati era quale fosse la motivazione che li aveva spinti a fare finalmente qualcosa, com'era successo a me. Eccezion fatta per una ragazza che dall'oggi al domani si è ritrovata a gestire situazioni di emergenza pur non essendo né medico né psicologo, partendo da un gruppo Facebook poi Whatsapp e Telegram, gli altri che appaiono in Mur sono persone comuni, che non hanno voluto/potuto lasciar morire le persone al freddo fuori dalle proprie case".
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Kasia Smutniak regista
Dopo un'opera prima, è nomale chiedersi se l'interprete di turno vorrà tornare ancora dietro la macchina da presa o è stato un esperimento stand-alone. Risponde così Smutniak: "Da quando la realtà ha superato quello che ho raccontato sullo schermo, ho voluto concentrarmi su ciò che stavo vivendo in quel momento. È un periodo di grande cambiamento, la voce delle donne è molto importante adesso, come donna sono stata sottovalutata tante volte nel realizzare questo documentario. Come attrice, di origine polacca, e come donna non ero ritenuta pericolosa e paradossalmente questo mi ha aiutato, hanno abbassato la guardia per così dire. In fondo io volevo solo raccontare una storia, questo progetto mi ha fatto capire in che modo volevo e potevo prendere parte a storie come questa". Ovviamente affrontare un progetto del genere ti cambia dentro: "Si torna sicuramente diversi dopo un viaggio e un'esperienza come quelli del documentario, non comprendo ancora fino in fondo in che modo ciò che ho visto e vissuto stiano continuando a vivere e lavorare nella mia testa, sicuramente sono stati aperti dei canali emozionali e le mie energie sono state incanalate lì. So che anche Agnieszka Holland non ha saputo rispondere a questa domanda (ride)".