Morto Stalin, se ne fa un altro: l’incompetenza al potere tra orrore e risate

Armando Iannucci torna al cinema con l'adattamento di una graphic novel francese sul vuoto di potere creatosi in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin. In concorso al 35mo Torino Film Festival e in sala dal 4 gennaio.

The Death of Stalin: un momento del film
The Death of Stalin: un momento del film

Mosca, 1953. Il regime staliniano miete continuamente terrore nella vita quotidiana dei cittadini, con il rischio che chiunque venga dichiarato un elemento negativo e poi arrestato, esiliato o ucciso. La situazione cambia quando Stalin ha un malore fatale e si crea un vuoto di potere nel quale cercano di insinuarsi due persone in particolare: Lavrentiy Beria, capo dei servizi segreti sovietici, e Nikita Khrushchev, segretario generale del Partito Comunista. Nel loro duello strategico verranno coinvolti anche gli altri membri del Comitato Centrale e i figli del dittatore, nel tentativo di ristabilire l'ordine all'interno di un governo sempre più caotico.

Leggi anche: Torino 2017: i 10 film da non perdere

Essere Armando Iannucci

Nel 2005 è andata in onda su BBC Four la prima stagione di The Thick of It, serie satirica nata dalla fantasia di Armando Iannucci e incentrata sui retroscena caotici e imbarazzanti del governo britannico. Da lì è nato il lungometraggio cinematografico In the Loop, dove alcuni degli stessi personaggi (in particolare il portavoce Malcolm Tucker, interpretato da Peter Capaldi) devono fare i conti con il rapporto delicato tra il Regno Unito e gli USA, esportando lo stile cinico e inquietantemente strepitoso di Iannucci (già noto in patria per aver contribuito alla creazione di Alan Partridge, celeberrima maschera comica di Steve Coogan) oltre il piccolo schermo. Lo sceneggiatore e regista è poi tornato in televisione, questa volta sul suolo americano, creando Veep per la HBO: sempre politica e incompetenza, ma nell'ufficio del vicepresidente (Julia Louis-Dreyfus). Iannucci ne è stato lo showrunner per quattro stagioni, decidendo poi di passare ad altro al termine del contratto.

Leggi anche: Veep, una politica tutta da ridere

The Death of Stalin: Simon Russell Beale e Jeffrey Tambor in una scena del film
The Death of Stalin: Simon Russell Beale e Jeffrey Tambor in una scena del film

L'altro in questione è Morto Stalin, se ne fa un altro (traduzione azzeccatissima, visto il tono del film, dell'originale The Death of Stalin), lungometraggio che si basa su una graphic novel francese, edita in due volumi da Dargaud tra il 2010 e il 2012 (in Italia è stata pubblicata da Mondadori). In mano all'autore britannico il materiale di Fabien Nury e Thierry Robin è diventato un canovaccio ideale per trasporre in un contesto reale le ossessioni ricorrenti del lavoro di Iannucci, alle prese con eventi veri dove l'assurdità era all'ordine del giorno (basti pensare alla sequenza d'apertura del film, dove il direttore di Radio Mosca è costretto a riproporre un concerto appena terminato in modo da avere una registrazione da consegnare a Stalin, pena la fucilazione). Il risultato è un film rigoroso, che non si tira indietro dinanzi agli orrori rappresentati, ma anche molto divertente, dove l'uso di humour nerissimo sottolinea l'aspetto surreale delle vicende e offre un punto di vista inedito su una realtà a dir poco terrificante.

Leggi anche: The Death of Stalin, parla Armando Iannucci: "Assurdità basate su eventi reali"

Stalin è morto, lunga vita a Stalin

The Death of Stalin: Jason Isaacs in una scena del film
The Death of Stalin: Jason Isaacs in una scena del film

Il lavoro di Iannucci si basa su un sapiente miscuglio di aderenza ai fatti e occasionale licenza poetica: la disputa per la successione tra Beria e Khrushchev durò in realtà diversi mesi, mentre sullo schermo la storia è compressa in un arco di dieci giorni. Cronologia a parte, il film riporta gli eventi caricandone la già esistente vena comica quasi fino al parossismo, ma senza mai soffocarne l'anima tragica , che si tratti di un dettaglio come i cittadini che dormono vestiti in caso sia necessario fuggire nel cuore della notte o il momento beffardo in cui alcuni membri del Comitato si congedano amichevolmente da Vyacheslav Molotov sapendo che il suo nome è sulla lista dei condannati. Le situazioni estreme, in ottica sia comica che tragica, sono sempre dietro l'angolo, ma il regista non le spinge mai oltre i limiti della verosimiglianza, che in ogni caso è difficile da mettere in dubbio se si pensa ad altri regimi o movimenti attivi al momento in cui la pellicola è stata realizzata e successivamente presentata nel programma di festival come Toronto o Torino (basti pensare all'attuale governo russo sotto Putin, o alla presidenza americana griffata Donald Trump, o all'ascesa di Nigel Farage in territorio britannico).

Leggi anche: Il meglio di Toronto 2017: The Death of Stalin, Lady Bird e... Wonder Woman!

Comitato di grandi attori

The Death of Stalin: Simon Russell Beale, Olga Kurylenko e Steve Buscemi in una scena del film
The Death of Stalin: Simon Russell Beale, Olga Kurylenko e Steve Buscemi in una scena del film

Per rendere al meglio la componente grottesca del regime staliniano, Iannucci ha riunito un gruppo di interpreti, non necessariamente comici, di grande qualità. Stalin stesso ha le fattezze dell'attore teatrale Adrian McLoughlin, e attorno a lui gravitano esponenti dell'umorismo surreale di ieri (Michael Palin, ex-Monty Python, nei panni di Molotov) e di oggi (Jeffrey Tambor, noto per Arrested Development, interpreta Georgy Malenkov). Nei ruoli dei duellanti Beria e Khrushchev ci sono rispettivamente Simon Russell Beale, grande animale da palcoscenico britannico che all'età di 56 anni esplode finalmente sul grande schermo, e Steve Buscemi, volto di tanto bel cinema indipendente americano. Da un lato una brutalità esplicita, a malapena contenuta nel viscido esoscheletro di una mente calcolatrice; dall'altro, un'aria più innocua ma costantemente cospiratrice, con occasionali sprazzi di frustrazione paranoica. E in mezzo la rivelazione (per chi lo conosce solo come villain) Jason Isaacs, autore degli insulti più taglienti e forse l'avatar più riuscito del passato spaventosamente assurdo raccontato da Iannucci: esilarante e al contempo sottilmente repellente.

Movieplayer.it

4.5/5