Andrea Pallaoro ci ha da sempre abituati a un cinema che lavora per sottrazione e trova nel ritratto femminile il proprio centro. Il suo terzo lungometraggio (di seguito potete leggere la recensione di Monica), secondo capitolo di un'ideale trilogia iniziata con Hannah e presentato alla 79° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, non fa eccezione: nel 2017 toccò ad una gigantesca Charlotte Rampling caricarsi addosso l'austerità di un film che le avrebbe fatto vincere la Coppa Volpi, adesso il compito di portare in scena un affresco di donna spetta all'ipnotica Trace Lysett, attrice transgender, la prima di un titolo in concorso a Venezia. Film italiano ma ambientato in America e recitato da un cast americano, con una storia che si sviluppa tra l'assolata California e la provincia più rurale. Un road movie sotto il segno della grazia e della bellezza.
Una storia di abbandono e accettazione
Capelli rossi al vento, il sole della California, una decappottabile e una telefonata concitata che accompagna la corsa della protagonista. Si apre così Monica, storia di una donna trans (la Monica del titolo interpretata da Trace Lysett) che torna a casa per la prima volta dopo diversi anni di assenza. Se ne era andata appena adolescente, un allontanamento doloroso e brusco che ha il sapore dell'abbandono e che ora Monica prova a curare riavvicinandosi all'anziana madre malata, Eugenia (un'enorme Patricia Clarkson), e al resto della famiglia. Il film non lo dice mai in modo esplicito, ma alla base della rottura potrebbe esserci proprio la sua transessualità; attraverso il viaggio di Monica, Andrea Pallaoro ha così la possibilità di mettere in scena una storia di abbandono, accettazione, riscatto e perdono, che è anche un racconto sulla memoria, sul tempo che guarisce le ferite e cura il dolore, sull'identità ritrovata, sul ritorno e la pacificazione con il passato e se stessi. Non un film urlato, ma composto, teso e pronto ad affidare ai dettagli dei corpi e al non detto gran parte della vicenda.
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Trace Lysett, tra grazia e rigore
Le scelte estetiche sono coerenti con il tono della narrazione: dalla composizione della luce alla scelta del formato in 4:3 che schiaccia i corpi all'interno dell'inquadratura e restituisce la dimensione profondamente intima della storia a cui stiamo assistendo. Prendono il sopravvento alcuni particolari del volto, mani che accarezzano e accudiscono, labbra che baciano, sguardi di reciproca compassione e ritrovata complicità dopo anni di totale estraneità. Scritto in punta di penna Monica esplora il microcosmo di una donna rotta dentro, non alza mai la voce ma suggerisce e evoca con l'aiuto dei silenzi e dei gesti. Trace Lysette fa uno straordinario lavoro di sottrazione, sempre misurata e in grado di restituire la complessità di quel mondo interiore così pieno di luci e ombre, sprazzi di speranza e paure, e sullo sfondo un amore difficile.
Di Monica lo spettatore sa poco o nulla, potrà solo provare a immaginare la sua vita quotidiana a Los Angeles, che cosa abbia fatto in tutti quegli anni che l'hanno tenuta lontana dalla propria famiglia, o chi sia Jimmy, l'uomo fantomatico che Monica chiama spesso al telefono anche se inutilmente. C'è tutto il dolore dell'abbandono negli occhi cerulei della protagonista, l'amarezza del rifiuto, ma anche l'affermazione di sé e la disperazione di una donna che ha solo bisogno d'amore. Un film sull'amore filiale ritrovato e ricomposto attraverso una narrazione di rara grazia e compostezza.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Monica con la consapevolezza di un film di straordinaria efficacia. Andrea Pallaoro si conferma autore raffinato e attento al mondo femminile, e con questo suo terzo lungometraggio firma il secondo capitolo di una trilogia inaugurata da Hannah. Un film sull’amore filiale e sull’accettazione, sull’abbandono e l’identità ritrovata costruito attraverso l’intimità dei corpi, gli sguardi e i silenzi.
Perché ci piace
- L’interpretazione di rara grazia e compostezza di Trace Lysett.
- Un racconto di accettazione, cambiamento e abbandono che Andrea Pallaoro affida ancora una volta a uno straordinario personaggio femminile.
- Parlano i corpi e i non detti.
Cosa non va
- Lo spettatore meno abituato potrebbe non empatizzare con un tipo di racconto che lavoro per sottrazione.