Lo ammettiamo, ad un certo punto, quando ormai l'orologio superava abbondantemente le due ore, ci siamo protratti in avanti, sedendoci sul bordo alla poltrona, con la schiena rivolta più vicino allo schermo, puntellando i piedi. Senza spiegare troppo, c'è un momento in Mission: Impossible - The Final Reckoning in cui, ve lo garantiamo, arriva fortissima la sensazione di essere vicini al punto di svolta di una tra le saghe cinematografiche più influenti. Qualcuno lo chiamerebbe turning point, per noi invece è la cara, vecchia resa dei conti: lo zenit di un eroe che non smette di correre, costi quel che costi. E il costo, nel giro finale, ha un prezzo altissimo.

In qualche modo, come solo certe produzioni sanno fare, ci siamo sentiti partecipi, avvolti da un cinema dai riverberi giganteschi (e la visione offerta in IMAX ha decisamente aiutato), portati volutamente fuori giro e fuori scala da Christopher McQuarrie. Potrebbe essere qualcosa che ha a che fare con la ricerca dell'esperienza cinematografica (un concetto fuorviante), oppure con il concetto di immaginario pop, di cui fa parte l'Ethan Hunt di Tom Cruise. Fin dal 1996, quando Brian De Palma faceva calare l'attore, sulle note del tema composto da Lalo Schifrin, con un cavo d'acciaio nel cuore di Langley, segnando per sempre l'idea di cosa possa voler dire cult. Quella scena, oggi, torna incredibilmente attuale in Mission: Impossible - The Final Reckoning. Del resto, se di resa dei conti parliamo, McQuarrie compone e ricompone il cammino di Hunt, facendo confluire ogni film in un atto finale che spettacolarizza l'essenza del dramma.
Mission: Impossible - The Final Reckoning, corsa contro il tempo

Sarebbe allora superfluo raccontare la trama, firmata da Erik Jandresen insieme a McQuarrie. Basti solo sapere che all'ottava mission, l'agente segreto, ha tre giorni di tempo per scongiurare la distruzione dell'umanità, innescata dagli eventi già introdotti nel precedente capitolo, The Dead Reckoning. Bisogna fermare i piani del cattivo Gabriel (Esai Morales), prima che un'arma intelligentissima attivi le testate delle potenze nucleari.

Come da tradizione, anche qui facciamo il giro del mondo: Londra, il mare di Bering, il Sud Africa. E non mancano le acrobazie, i salti nel vuoto, gli inseguimenti e, ovviamente, il supporto di quella squadra che, nemmeno a dirlo, ha i contorni di una famiglia disfunzionale: Grace (Hayley Atwell, a tutti gli effetti co-protagonista), Benji (Simon Pegg), e pure Paris (Pom Klementieff), che ha un conto in sospeso con Gabriel, Degas (Greg Tarzan Davis) e, ovviamente, il mitico Luther di Ving Rhames.
Le nostre scelte determinano chi siamo
Essenzialmente, Mission: Impossible - The Final Reckoning è quello che potremmo aspettarci, vista l'enorme portata di un capitolo finale di tale importanza (il punto di domanda è sottinteso, ad Hollywood mai dire mai). Ciò che è riuscito a fare Christopher McQuarrie, però, non è affatto scontato: tre ore scarse in cui la saga di Ethan Hunt viene ricucita, dettaglio per dettaglio (ed è assolutamente clamoroso il senso finale, in cui i precedenti film vengono inglobati in un unico e spettacolare atto), confluendo in una risoluzione che riesce a far vive, parallelamente, l'azione, l'epica e il dramma.

Dall'altra parte sì, la durata è ingombrante, e la narrazione, a volte, è scandita da una verbosità che si avvicina un po' troppo al puntuale spiegone, accompagnata da una costante e gigantesca traccia musicale composta da Max Aruj e Alfie Godfrey. Tuttavia, il film è talmente determinante (ed estremo, in tutti i sensi) che, per assurdo, l'azione stessa viene centellinata (ma che emozione quella final battle che sembra uscita da Star Wars!), evitando una banalizzazione d'intenti che avrebbe snaturato il cuore del film. Ossia: come ripete Luther, sono le nostre scelte a determinare ciò che siamo. Certo, Ethan Hunt è pur sempre Ethan Hunt, e di conseguenza Tom Cruise non si tira indietro nell'affrontare le sequenze più spericolate (pura goduria, of course).
Questione di attitudine, di sacrificio, di visione. Se consideriamo la minaccia globale che incombe sulle decisioni dei protagonisti, tra l'altro, l'intero plot sembra meno assurdo di quanto si potrebbe immaginare: minaccia nucleare, intelligenza artificiale, l'ossessione per il potere, per lo status quo. Insomma, l'inquietante cronaca a cui siamo abituati, e che Hollywood cerca di combattere (o smussare) attraverso quel cinema che, come nel caso di The Final Reckoning, altro non è che un esplosivo sogno da assaporare. Come se fosse un adrenalinico palliativo per ammorbidire una realtà che più spaventosa non si potrebbe.
Conclusioni
The Final Reckoning e le sue quasi tre ore che segnano un cruciale punto di svolta e una definitiva (?) "resa dei conti" per l'intera saga. Nemmeno a dirlo, un'esperienza cinematografica potente e volutamente fuori giro (con un consiglio, se potete, vedetelo in IMAX). McQuarrie, ormai continuo al franchise tanto quanto Tom Cruise, ripercorre e fa confluire nella lirica finale l'intera epopea di Ethan Hunt. Dietro, la spettacolarizzare del dramma, con una risoluzione capace di inglobare il percorso dell'eroe. Nonostante la durata considerevole e lo schema, a tratti, verboso, si riesce a fondere azione, epica ed emozione, centellinando le sequenze spericolate per evitare una fuorviante banalizzazione. Sotto, la riflessione su quanto le nostre scelte definiscano chi siamo, toccando temi contemporanei rilevanti e mai tanto spaventosi.
Perché ci piace
- La sequenza nel sottomarino vale la visione.
- Il latente senso di dramma.
- L'accompagnamento musicale, perfetta nel ritmo.
- Un'ottimo finale.
Cosa non va
- A tratti davvero verboso.
- La durata può essere un limite.