Un primo piano stretto su occhi verdi, freddi, fermi come smeraldi incastonati in un viso bianchissimo di gelida porcellana. Elizabeth Sloane ci guarda negli occhi. Ci guarda e si confida. Sembra parlare proprio con noi, quasi a cercare un complice con cui sfogarsi, a cui rivelare finalmente quella cosa chiamata verità. Si apre così Miss Sloane - Giochi di potere, con una donna che guarda in camera per svelare il modus vivendi di ogni buon lobbista che si rispetti: pianificare, studiare, stare sempre un passo avanti ai propri avversari. Il volto ipnotico di Jessica Chastain è teso, quasi inespressivo e attraversato da una vena di persistente apatia. Lo sguardo rivolto verso lo spettatore è un richiamo esplicito a quanto stiamo per vedere, perché Miss Sloane ha imparato la lezione di Frank Underwood e sa che niente ti isola più delle stanze del potere.
Tanto vale rivolgersi alla platea e guadagnarsi per lo meno la sua complicità. Ispirandosi ai sotterfugi diabolici e ai personaggi spietati di House of Cards, John Madden costruisce un film rigoroso, che indaga con scrupolosità dietro le quinte delle stanze del potere e nei piani alti degli Stati Uniti. Dal business dell'olio di palma al mercato delle armi, ogni cosa è controllata dal mellifluo mondo delle lobby. Tutto parte da un interrogatorio, con la lobbista Sloane messa sotto torchio dalla Commissione degli Stati Uniti d'America. L'accusa è quella di corruzione. Ha così inizio un lungo e accurato percorso a ritroso, alla ricerca di colpevoli, ma soprattutto di un po' di moralità dentro l'anima di una donna enigmatica.
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Ghiaccio rosso
Ne porta il nome perché ne è il ritratto. Miss Sloane - Giochi di potere si specchia dentro la sua protagonista, colonna portante di una storia dedicata solo a lei e a lei soltanto. Con mano ferma e mai davvero invadente, Madden gira attorno ad una Jessica Chastain a cui bellezza, intelligenza e acume non bastano per apparire ammirevole o accogliente. La sua Sloane respinge, brama la solitudine, allontana tutto e tutti per rinchiudersi dentro una gelida corazza di efficace pragmatismo. Il che dà ancora più valore e peso a quella scena iniziale, quasi un indizio sui bisogni frustrati di questa donna complessa, abile manipolatrice ossessionata dai suoi obiettivi come era già successo alla bella Jessica nel grande Zero Dark Thirty.
Per quanto getti ombra su una realtà affollata, piena di uomini e donne d'affari, politici e potenti, Miss Sloane è un'indagine personale, il tentativo di perforare quella spessa armatura e captare tracce sparse di umanità. Perché in un mondo dominato da grandi interessi, sembrano esserci soprattutto persone piccole piccole. Il merito di Miss Sloane è quello di essere severo senza mai risultare giudicante, di mostrare tanto marcio senza per forza sbilanciarsi nel prendere le parti. Se ci riesce, è proprio grazie ad una Chastain spiazzante e ondivaga, ora dotata di un esplosivo fascino femminile, ora carica di un'inedita mascolinità. A volte stracolma di energia, altre scarna e quasi svuotata. Come se Frank e Claire Underwood fossero la stessa persona.
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La parola è potere
Di spiazzante c'è anche il netto cambio di rotta di John Madden, un regista che prima di oggi aveva dedicato il suo cinema all'amore poetico di Shakespeare in Love, alle atmosfere romantiche de Il mandolino del capitano Corelli e alle seconde chance della terza età in Marigold Hotel. Storie piene di colore e di calore, di cui qui non vi è traccia. Illuminato da una fotografia fredda come la sua protagonista e ambientato soltanto dentro spazi chiusi e anonimi senza uno spiraglio di luce naturale o un po' di ossigeno, Miss Sloane è pieno di disincanto ma mai davvero arreso all'etica machiavellica del lobbismo americano. In mezzo a tanto buio, forse, uno spiraglio di luce esiste.
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Senza mai toccare le corde satiriche e ironiche di Thank You for Smoking, il film di Madden racconta le lobby come microcosmi a parte dove si decidono le sorti del mondo occidentale, e soprattutto dove ognuno è parte di un ingranaggio che non conosce né soste né scrupoli. Per fortuna Miss Sloane non cade in tecnicismi difficili da seguire, e fa della parola il suo punto di forza, la sua fonte di potere primario. Grazie a dialoghi serrati e affilati, questo thriller politico mette in scena una guerra dove dire o non dire qualcosa è la mossa decisiva. I "giochi di potere" del sottotitolo rimandano così ad una grande scacchiera dove non tutti si schierano col bianco o col nero (colori evidenziati nella locandina). Esistono i grigi, esiste Elizabeth Sloane, che come il giovane Stephen Meyers di Ryan Gosling nella sequenza finale de Le idi di marzo, guarda in camera per rivolgere a noi un dilemma intimo, in bilico tra disillusione e coraggioso idealismo.
Movieplayer.it
3.5/5