Tra gli eventi più attesi dell'edizione 2018 della Festa del Cinema di Roma c'era la prima mondiale di Millennium - Quello che non uccide, adattamento cinematografico del quarto romanzo della saga letteraria creata dal compianto Stieg Larsso. Un thriller targato Sony - qui potete leggere la nostra recensione di Millennium - Quello che non uccide - che alla kermesse capitolina è stato accompagnato dal regista Fede Alvarez e dagli attori Claire Foy (Lisbeth Salander), Sverrir Gudnason (Mikael Blomkvist), Sylvia Hoeks (Camilla Salander) e Synnøve Macody Lund (Gabriella Grane). Dopo la proiezione anticipata per i giornalisti sono stati protagonisti della consueta conferenza stampa ufficiale.
Un nuovo inizio per la saga di Millennium
Il film si colloca in un punto di incontro tra la vecchia trilogia e il nuovo corso della saga di Millennium, funziona sia per i fan che per i neofiti. Come ha lavorato Fede Alvarez per costruire questo mondo? "Quando ci sono dei film precedenti, non ha senso fare paragoni, bisogna adattare il testo nel modo che ritieni giusto. Se hai un tuo stile, il risultato sarà diverso dalle altre versioni. Il quarto romanzo è molto diverso dai primi tre, è più folle, più vasto. È più un thriller spionistico che un giallo alla Agatha Christie. Il punto in comune è il personaggio di Lisbeth, ed è interessante vedere la sua evoluzione. Facciamo le cose più in grande, che è una cosa che mi piace vedere al cinema." La sua esperienza nell'horror è stata utile per questo film? "Penso di sì, il tono è simile a quello che ho fatto prima, soprattutto l'ultimo che era più impostato sulla suspense. Mi piace la filosofia di Hitchcock: le scene d'amore vanno girate come se fossero scene di morte, e viceversa. Nei miei film precedenti mettevo a disagio lo spettatore anche con scene apparentemente normali, e in questo episodio è lo stesso. Mi piace mantenere la tensione costante dall'inizio alla fine."
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Metodi recitativi
Le domande successive sono per i quattro attori, a cui viene chiesto come si sono preparati per i rispettivi ruoli. Inizia Claire Foy: "L'importante è non rendere il personaggio come te, ma viceversa. Lisbeth mi piace perché non è la tipica protagonista. Non è particolarmente amabile, non cerca di rendersi bella, non le interessa piacere alla gente. Con lei c'è un potenziale infinito, credo che anche le altre attrici possano confermarlo, non è possibile raggiungere tutte le profondità di Lisbeth." Sverrir Gudnason evoca in parte il suo film di successo precedente: "Ogni ruolo richiede un approccio diverso. Per diventare Björn Borg in Borg McEnroe dovevo giocare a tennis due ore al giorno. Per Mikael ho riletto i libri e cercato di capirlo in quanto una delle poche persone normali in quel mondo. Mi piace che sia un giornalista ancora interessato alla verità." Il turno passa quindi a Sylvia Hoeks, che interpreta la cattiva di turno: "Mi è piaciuto poter creare un personaggio nuovo in questo universo che conosciamo. Amo molto sia i romanzi che i film, il personaggio di Lisbeth è stato un punto di riferimento per me, e poter interpretare sua sorella, che è più vulnerabile, è stato molto interessante. Portare sullo schermo il suo dolore è stato molto forte, e mi è piaciuto molto l'aspetto iconografico, con quel vestito rosso. Mi piace il fatto che Camilla rappresenti l'unica cosa da cui Lisbeth vuole fuggire, che non vuole affrontare." Per l'attrice norvegese Synnøve Macody Lund entra in gioco anche una questione culturale: "In quanto scandinava, e avendo visto i film svedesi, mi piace molto che questo episodio pensi più in grande, che non sia il tipico noir nordico."
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Paragoni importanti e personaggi opposti
Claire Foy è nota soprattutto per aver interpretato Elisabetta I nelle prime due stagioni di The Crown. È accostabile a Lisbeth, almeno per quanto riguarda la determinazione? "Non direi che Elisabetta è determinata. Sono due persone molto diverse, ma hanno una cosa in comune: per via del loro background, non sono in grado di capire certe emozioni. Lisbeth si chiude emotivamente per evitare di soffrire, mentre Elisabetta ha un incarico dove le emozioni non vanno espresse in pubblico. Le somiglianze finiscono lì, a meno che Elisabetta non vada in giro in moto a mia insaputa. Può essere, chi lo sa." C'è una differenza di approccio tra un personaggio realmente esistito e uno fittizio? "Mi piacciono tutti i ruoli che interpreto, in ognuno di loro c'è qualcosa in cui mi riconosco. Detto questo, l'approccio è simile: qualunque cosa tu faccia, sbaglierai e non sarai mai del tutto all'altezza delle aspettative della gente, soprattutto con un personaggio di finzione molto amato, perché non puoi competere con l'immaginazione del pubblico. L'unica strategia possibile è fidarsi al 100% del proprio istinto, con l'aiuto del regista."
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A tal proposito, viene chiesto ad Alvarez se Lisbeth Salander possa essere considerata una supereroina. "In un certo senso sì. A me in realtà non piacciono i supereroi, trovo l'iconografia opprimente, mi fa sentire inferiore. Lo stesso quando vedo un uomo bellissimo in uno spot per un profumo, mi deprimo. In questo film presentiamo Lisbeth come se fosse una supereroina, e poi distruggiamo quell'immagine. Lo faccio sempre con le protagoniste dei miei film: le faccio rendere conto di essere delle brutte persone, che hanno commesso degli errori per cui dovranno pagare." Aggiunge l'attrice: "Non l'ho mai vista come una supereroina. Se le fai male lei sanguina parecchio. Quello che mi piace è la sua volontà di sopravvivere. Lei è più rapida e più intelligente dei suoi avversari, e questo le dà una certa autostima, ma se guardate le scene d'azione lei non è onnipotente, semplicemente non si arrende."