Recensione Un principe tutto mio (2004)

Martha Coolidge, condannata alla commedia televisiva costruita su sceneggiature ben poco inebrianti, tenta nuovamente la strada del grande schermo, realizzando un racconto fiabesco con morale inclusa.

Miele da fast food

Le stagioni del cuore non finiscono mai, tantomeno sul grande schermo, e in Un principe tutto mio di Martha Coolidge ogni situazione è condita da un sovraccarico di zuccherosità da carie dentale fulminante. Un film per innamorati, dunque, quelli dei "bau bau micio micio", persi per ventiquattro ore nello sguardo dell'amato, e che non possono trascorrere un secondo senza tenersi dolcemente la mano. Brevemente la storia. Il principe della famiglia reale danese Edvard è un rampollo viziato che si fa riconoscere solamente per le sue scorribande sentimentali testimoniate dai tabloid scandalistici. Alla ricerca di nuove esperienze e di un'identità coerente con il suo stato sociale, si iscrive alla facoltà di medicina del Wisconsin guardandosi bene dal rivelare il suo sangue blu, e, supportato dai servigi immancabili del suo personale governante Soren, intraprende la carriera universitaria. E' naturale che nella sua vita appaia una belloccia di turno. E' Paige Morgan, ragazza di estrazione rurale con velleità di medico senza frontiere, che diventa l'ossessione e il modello da seguire per il nostro Edvard, impegnato in lavori manuali e da "bovaro", lontani dallo stile di vita regale a cui è abituato. Fra i due nasce inevitabilmente l'amore. Essere un principe, tuttavia, non è facile nemmeno in terra straniera, e quando Paige ne viene a conoscenza, qualcosa nel loro rapporto è destinato a cambiare.

Martha Coolidge, condannata alla commedia televisiva costruita su sceneggiature ben poco inebrianti, tenta nuovamente la strada del grande schermo, realizzando un racconto fiabesco con morale inclusa. Le differenze di classe, la ricerca di uno scopo nella vita, la scoperta dell'amore nella purezza del sentimento, non sono argomenti facili da trattare senza rischiare di ricadere nel già visto e nel banale. Per non parlare poi dei riferimenti all'Amleto shakespeariano, che per nostra fortuna appare solo in alcuni dialoghi.

Un principe tutto mio non si rifà a modelli del passato, e percorre una strada lineare senza sorprese, dilatando i tempi e facendo sperare più volte lo spettatore di essere giunto al "finale" defintivo. D'altra parte non è possibile far durare due lunghissimi minuti la sequenza del gioco di sguardi fra Edvard e Paige in biblioteca, senza far accadere assolutamente niente!
Se vogliamo tuttavia salvare una parte del film, la visita del principe alla fattoria dei genitori dell'amata, con tanto di gara sui tagliaerba, in all american style qualche sorriso lo fa fare, ma non risveglia la favoletta dallo stereotipato torpore.

Una nota finale. L'aspetto più divertente del lungometraggio è riconoscere le marche note presenti nelle varie inquadrature, che riflettono la strategia di product placement della produzione. Oggi, i soldi nel cinema si fanno prima di andare in sala.